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NEGLI ABRUZZI. VIAGGIO IN ABRUZZO NELL’ANNO 1907, FRA IMPROVVISATORI E POETI BIFOLCHI.

Un frammento di un libro di Anne Macdonell del 1908 e un corto di Stefano Saverioni e Gianfranco Spitilli del 2016.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 12 Novembre 2016 - Ore 15:00
[Estratto da pagine 135, 136 e 137.]
 
Come tutti i meridionali, gli Abruzzesi sono stati sempre grandi improvvisatori. Hanno avuto notevoli esempi di improvvisatori di professione; fra di essi è Serafino Aquilano (1466-1500), così famoso che nel suo epitaffio in Santa Maria del Popolo a Roma si affermava che uno è in grande debito verso i suoi occhi solo perché essi hanno guardato la sua tomba. Serafino fu un uomo errante di genio, noto a tutte le corti italiane, di Milano, di Urbino, di quella di Federico d’Aragona e di quella di Cesare Borgia che lo predilessero per i suoi meravigliosi versi estemporanei, che cantava accompagnandosi con il liuto, e lo temettero non poco per la sua satira, libera e coraggiosa.
 
Nobili, borghesi, dotti, contadini, pastori, tutti usarono improvvisare, ed essi, ma principalmente i contadini, improvvisano tuttora. In una notte della passata primavera, dopo una piccola festa in Scanno, i musicanti fecero una serenata al mio ospite e alla sua famiglia sotto la finestra, prima che questi andassero a casa; sull’aria della «partenza del pastore», il cantore fece un canto per metà vecchio e per metà nuovo, con allusioni alle vicende della sera, con saluti ad ogni membro della famiglia, ed una stanza particolare dedicò all’inglese. Il tutto combinò con sorprendente prontezza e senza errori nel ritmo, mentre la chitarra faceva la sua parte, non meno galantemente, enfatizzando ogni sentimento, gaio o serio, con eguale tempestività. L’improvvisatore in questo caso era un giovane biondo, dagli occhi azzurri, dal viso rossiccio, come un fratello di uno Scozzese del nord, un contadino che faceva lavori occasionali nel paese e ultimamente aveva lavorato in una mattonaia a Pittsburg, negli U.S.A..
 
Il genio del popolo si è espresso largamente nelle improvvisazioni; qualcuno dirà che vi si è sprecato, ma l’improvvisazione è un’arte e la letteratura un’altra; talvolta sono combinate. L’improvvisazione è come la recitazione: la generazione seguente saprà dei suoi trionfi solo per sentito dire, ma i suoi trionfi non erano meno reali.
 
Se un popolo ha la capacità di produrre la grande letteratura, non sceglierà per esprimere se stesso i soli improvvisatori; infatti i loro facili trionfi possono distrarre le energie dal più arduo compito di trovare una perfetta e definitiva espressione. Tuttavia l’improvvisazione è almeno un mezzo per dire quello che si sente nel cuore, sia una lode per la propria donna, o amore per i santi, o odio contro il tiranno, o un complimento per il vicino che abbia mandato in dono una bottiglia del suo migliore vino.
 
Tasso non ebbe questo speciale talento. Il Marchese Manso, nel 1588, portò con sé Torquato a Bisaccio per fargli godere le delizie della stagione autunnale e poi così ne scrisse al Principe di Conca: «Torquato è diventato un grande cacciatore e supera agevolmente le asprezze della stagione e del paese. Siamo soliti nelle giornate di mal tempo e nelle serate trascorrere lunghe ore ascoltando suoni e canti, perché si diverte sommamente nell’ascoltare gli improvvisatori e li invidia per la loro prontezza nel fare i versi, della quale la natura, così egli dice, è stata così avara con lui».
 
Che gli Abruzzesi abbiano sempre avuto questo talento in grado notevole è un fatto di grande significato in relazione a qualsiasi letteratura essi abbiano prodotta; tuttavia, anche se la improvvisazione è stata modificata dalla cultura, gli effetti sono più appariscenti che di sostanza, come nel caso di Benedetto de’ Virgili, il «poeta bifolco». Infatti egli divenne noto per la prima volta in grazia dei suoi canti pastorali improvvisati.
 
Essi ora risultano tutti perduti, benché si vorrebbe far passare tutti i volumi stampati per ispirazione dei Gesuiti per resti di componimenti poetici inizialmente improvvisati, che radunavano i pastori attorno a lui e gli diedero fama nella sua natìa Alfedena. Dopo che lasciò le montagne, divenne bifolco nelle terre del collegio gesuitico di Orta. Il suo amore per il sapere attrasse l’attenzione dei padri ed essi lo rimpinzarono di latino e di teologia. In cambio egli scrisse un lungo poema su Sant’Ignazio di Loyola ed altri su temi religiosi, che furono tutti stampati e gli procurarono molti ammiratori. Ariosto e Tasso furono i suoi maestri, ed egli raggiunse l’eleganza della forma, ma ci fu Virgilio, il suo grande omonimo che avrebbe volentieri imitato. De’ Virgili, sotto il suo ritratto, fattogli dipingere per ordine del Papa, si fece scrivere questo distico laudativo:
 
«Non impar ego Virgilio, si vel mihi civem,
vel illi nasci sors dabat agricolam»
(Io non sarei inferiore a Virgilio, se la sorte avesse concesso a me di nascere cittadino e a lui di nascere bifolco.)
 
Il poeta bifolco degli Abruzzi ebbe stanze assegnate nel Vaticano da Papa Alessandro VII e fu fatto Cavaliere di Cristo, ma le sue opere oggi rappresentano una mera curiosità.
 
Anne Macdonell
NEGLI ABRUZZI
Viaggio in Abruzzo nell’anno 1907
Traduzione italiana condotta da Ilio Di Iorio sulla edizione inglese del 1908
Adelmo Polla Editore, 2004 – Euro 10.
 
 
[Cortometraggio]
UN PASTORE POETA
Fotografia, montaggio, regia: Stefano Saverioni.
Ricerca e interviste: Gianfranco Spirilli.
Musiche originali: Emiliano Dante.
Prodotto da Co.Re.Com. Abruzzo.
Realizzazione: Associazione culturale Bambun per la ricerca demoetnoantropologica e visuale

Sinossi.
A Campotosto (AQ) l’inverno si avvicina.
Nel vento gelido dell’altopiano, il vecchio pastore Berardino Perilli si attarda con i suoi animali prima della transumanza verso la campagna ternana.
Berardino ama Dante Alighieri e Matteo Maria Boiardo, legge l’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata, gioca con le parole: è un poeta pastore dell’Italia centrale.
Gli eredi di questa cultura si incontrano nei raduni e nelle serate conviviali, parlano fra loro con la poesia, gareggiano con ottave rime estemporanee. È un modo intenso di comunicare e di scherzare assieme, di scambiare opinioni, di intessere relazioni e amicizie.

Dalla serie "La memoria lunga" Vol.1. Italia, 2016. 10' 26''.

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