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Enogastronomia [Cibo, Vino e Spiriti.]
BECCACECI: LO STILE VA OLTRE LA MODA.
Andrea Beccaceci.

Un articolo del 2005, pubblicato su ‘Il Segnaposto’, per fare i complimenti a un ristorante premiato di recente a Venezia (20 aziende italiane in tutto) dalla Confesercenti, per aver fatto ‘la storia del loro territorio’.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 02 Maggio 2012 - Ore 21:45

Oscar Wilde disse che la moda è così brutta che ogni 6 mesi sono costretti a cambiarla. Beato bastian contrario, con il gusto per la provocazione (quando la provocazione si pagava con la prigione) e un talento speciale per gli aforismi.
 
Penso a Oscar Wilde e mi dirigo verso Beccaceci, storico ristorante “di pesce”, gestito da Andrea Beccaceci, ennesimo anello di una catena del gusto che ha attraversato tutto il ‘900 e che non vuole certo smettere nel terzo millennio.
 
Beccaceci è un sorriso in una via col broncio. Brutti palazzoni in cemento che sembrano quasi nascondere quella nicchia, quella porta in legno al civico 28 di Via Zola che immette nel ristorante. 350 metri quadri, di cui 110 circa riservati agli ospiti (da 45 a massimo 70 coperti), compreso un privè destinato a quelli che vogliono anche approfondire percorsi enologici o assaggiare distillati.
 
Il nome Beccaceci si trova affiancato al concetto di ospitalità e ristorazione addirittura dalla fine dell’800, quando si hanno le prime notizie della famiglia che gestiva un albergo a Giulianova. Andrea, trisnonno dell’odierno Andrea, aveva aperto una stazione di posta in cui si poteva mangiare e c’era ricovero per viaggiatori e cavalli, oltre a portare avanti un commercio di vini.
 
L’albergo fu chiuso intorno agli anni ’60, ma prima, nel 1922, un altro Andrea, nonno dell’odierno, prese moglie e aprì un caffè ristorante nel piazzale della stazione ferroviaria.
Iniziava così una delle più lunghe tradizioni familiari della ristorazione abruzzese.
 
Il nonno scomparve giovane, ma la mitica nonna guidò la cucina fino ai 90 anni, inculcando la passione anche alla nuora, Maddalena Mazzaufo, che entrò in cucina nel 1953 e nel 1955 sposò il padre di Andrea, che perciò oggi porta sulle sue capaci spalle di sportivo (due ore al giorno di attività fisica, sempre e comunque) il secolo e oltre di saga familiare con un sorriso da calciatore inglese, non intossicato cioè dalle paranoie del mestiere.
Oggi mamma Maddalena ha 71 anni e comanda in cucina, mentre il figlio si prende cura della sala.
 
Insieme a loro, una vera e propria famiglia di collaboratori: 4 in cucina e 3 in sala. Una squadra che è l’orgoglio del ristorante, visto che gli anni di servizio vanno dai 10 ai 25, Il “pivellino” del gruppo ha soltanto 5 anni di servizio, essendo entrato in sostituzione di un cameriere andato in pensione. In tempi di turnover con le ali, giusto rimarcare questo marchio di qualità che è poi parte di un concetto che traspare in ogni angolo del locale: l’orgoglio di essere parte di una vera e propria storia e la determinazione nella difesa e nella valorizzazione della propria identità professionale, senza strizzare l’occhio all’ultimo grido, ma parlando sempre a bassa voce.
 
Ecco quindi che Maddalena, più che andare a scuola di cucina è lei, con le sue 71 primavere, una scuola di cucina. Andrea, classe 1961, moglie avvocatessa e due figlioli, è cresciuto nel piano nobile della costruzione che ospita il ristorante: una casa senza uso di cucina. Quindi lungo tirocinio fra i fornelli prima di passare a dirigere la sala, diventando sommelier professionista nel 1988 e classificandosi, nel 1989 e nel 1991, primo sommelier d’Abruzzo, sfiorando addirittura il titolo nazionale nel 1989, quando per un soffio dovette accontentarsi del secondo gradino del podio.
 
Oggi il ristorante gestisce una clientela in larga parte trentennale, a sua volta rinnovata nelle generazioni ma attenta a chiedere i piatti della tradizione marinara dell’Abruzzo costiero teramano. E Beccaceci li accontenta, allestendo menu che conservano la tradizione e poco regalano all’improvvisazione.
 
Marchio, immagine, fidelizzazione. A parlare con Andrea questi termini, spesso abusati e vuoti se collocati nelle ampolle di grandi trattati teorici, prendono quasi il sapore del pesce, assumendo gustoso valore.
 
Tanti i personaggi che nel corso di quasi un secolo hanno visitato il ristorante, ma uno ha lasciato il segno più degli altri. Si tratta di Tazio Nuvolari, che fece la felicità della nonna di Andrea, classe 1902, che negli anni ’40 cucinò per quello che Ferdinand Porsche definì: "Il più grande pilota del passato, del presente e del futuro". E quando, anni dopo, il nipote chiese conto del menù, essendo curioso circa le preferenze in fatto di pesce del campione, altra sorpresa: a quei tempi il pesce era il cibo della povera gente, Nuvolari mangiò quindi pollo con peperoni!
 
Ai giorni nostri, invece, Beccaceci è soltanto pesce, pescato nel tratto di Mare Adriatico che va da San Benedetto del Tronto a Termoli. Qualche rarissima eccezione per un’ostrica francese o dell’astice, ma nulla più. Perché la delimitazione marittima? Perché, secondo chi si prende cura degli ospiti, una sogliola o uno scampo pescati da queste parti sono meglio di quelli pescati dalle parti della Romagna o in altri tratti di mare.
 
Dunque rigore nell’approvvigionamento degli alimenti e grande cura anche nella scelta di oli e vini.
Per quanto riguarda l’olio, in cucina si usa soltanto olio extra vergine di Loreto Aprutino, mentre a tavola viene servito anche olio di aziende teramane.
 
I vini abruzzesi sono poi proposti dallo staff ogni qual volta gli ospiti delegano la scelta, per reale stima verso le aziende produttrici e rispetto verso la qualità dei prodotti. La cantina è comunque fornita di 300 etichette, con 200 bianchi.
 
Tradizione, pesce, olio, vino. Manca qualcosa agli ingredienti occorrenti per fare di un buon ristorante un ristorante eccellente? Forse il disincanto, la serenità di poter dire tutto quello che si pensa senza preoccuparsi troppo di dover fare bella figura, consapevoli di aver attraversato un tempo più lungo, molto più lungo, di un’andata di moda.
 
Ecco quindi che Andrea Beccaceci, abituato a frequentare comunque il mondo dell’alta ristorazione, concede i gradi di “artisti” della tavola soltanto a una quindicina di chef su tutto il territorio italiano.
E il resto? Artigiani (Beccaceci compreso), spesso ottimi, ma artigiani che una eccessiva pressione dei mass-media rischia di trasformare in guru che insegnano a mangiare e a vivere. Invece non è così, almeno per il “modus vivendi” firmato Beccaceci.
 
Qui, dove la ristorazione è di casa da ormai troppi anni per raccontare storielle, cucina è, semplicemente, cucina.
Quindi naturale ritrosia verso i panegirici, ma pieno rispetto per tutti coloro che cercano di lavorare bene per far crescere la ristorazione.
 
Andrea cita l’abruzzese Niko Romito, definendolo fuoriclasse, e lo fa per dire che spesso chi parla di ristorazione sbaglia a paragonare ristoranti anche molto diversi fra loro.
Ad esempio, paragonare un posto tradizionale come Beccaceci a un posto in cui si fa ricerca come La Cantina di Epicuro, è come scegliere fra giacca e pantalone: servono entrambi per vestirsi, ma non svolgono la stessa funzione.
 
E allora ci piace immaginare Andrea Beccaceci, con mamma Maddalena e tutta la squadra, orgoglioso e dinamico nella tutela del suo presidio del gusto, nel pieno rispetto delle altre espressioni della cucina, ma con il preciso obiettivo di continuare il suo originale percorso del gusto che ha tanti anni e, quindi, non ha più paura del tempo.
 
Accogliere bene il cliente, consentirgli di scegliere persino la distanza da concedere a chi lo serve, garantirgli alimenti di qualità e interpretazioni in linea con la tradizione di Beccaceci. Questi gli elementi di una storia che continua. Il resto, per Andrea, sono solo canzonette…
 
Esco da Beccaceci e mi accorgo di non aver chiesto ad Andrea se apprezza Oscar Wilde. Pazienza. Di sicuro però, ora so che non cambierà mai il suo stile per seguire una moda qualsiasi.
 
WEB
 
Luca Maggitti
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