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TUTTI GLI UOMINI DEL GENERALE


Frammenti dal libro di Fabiola Paterniti su Carlo Alberto dalla Chiesa e sulla storia inedita della lotta al terrorismo.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 13 Ottobre 2016 - Ore 12:15

[Pagina 21]
Gli obiettivi più a rischio erano proprio gli uomini che davano la caccia ai terroristi. Tutto il 1979 fu un anno di sangue. Gli attentati raggiunsero la cifra record di 659. E quest’aumento delle azioni criminali cominciò a creare contraddizioni anche all’interno delle stesse organizzazioni eversive.
 
[Pagina 23]
Gli uomini del generale che si occupavano delle indagini diventavano tutt’uno con il territorio che tenevano sotto controllo. A volte i pedinamenti duravano molti mesi, a volte anche un anno. Conoscevano tutte le famiglie del quartiere, carpivano informazioni e si affidavano alle persone che valutavano positivamente. È bastato un motorino per incidere sulla storia di questo Paese, senza nessun riflettore, senza nessuna telecamera.
 
[Pagina 25]
“Era difficile che i giornalisti sapessero delle nostre operazioni nei giorni in cui venivano effettuate. Di solito la notizia usciva a distanza di tre o più giorni. Non era certamente come oggi. Finito l’intervento, avevamo qualche giorno di pausa lavorativa. E così sbrigavo le faccende in ufficio o, quando vi era la possibilità, raggiungevo i miei genitori. Una volta mi trovai con mio padre davanti alla televisione mentre si stava parlando proprio di una nostra operazione, lui ridisse: ‘Vedi come sono bravi questi uomini di dalla Chiesa, perché anche voi non lavorate così?’. Sembra una barzelletta, ma non lo è”. Purtroppo non poté renderlo orgoglioso, la riservatezza era un obbligo e anche il salvagente di quegli uomini.
Ancora oggi il padre e la madre di Michele, ormai anziani, non sanno nulla di quello che il figlio ha fatto in tutti questi anni...
 
[Pagina 27]
I miei amici sposati erano molti più in pericolo perché, prima di entrare nel portone condominiale, dovevano controllare tutte le strade adiacenti e poi fare opera di bonifica nelle stanze di casa. Era un’attività quasi maniacale. Dovevano tacere con i familiari.
 
[Pagina 30]
“Noi eravamo preparati. Pensi che in quegli anni non ho mai avuto un conflitto a fuoco, perché a furia di seguire i terroristi sapevo tutto, anche dove tenevano la pistola. Quindi ero in gradoni anticipare tutte le mosse. Noi avevamo le fotografie dei sospettati, ma anche degli insospettabili, li pedinavamo costantemente”.
 
[Pagina 43]
“Per comprendere l’humus in cui vivevamo, mi soffermo su un episodio accaduto all’università di Torino. Gli studenti avevano da mesi occupato le aule. Dormivano lì, si autogestivano. Uno studente si presentava all’esame e prendeva diciotto per tutti i suoi compagni. Insomma per noi carabinieri era difficile riuscire a mantenere l’ordine pubblico. Ogni giorno c’era una sorpresa ed eravamo sempre in allarme, pronti ad agire”.
 
[Pagina 49]
‘Dovete scoprire esattamente cosa sono le Bierre, dove sono, cosa fanno, altrimenti non ne usciremo mai. Dobbiamo andare al di là del singolo episodio. Occorre aggredire l’intera struttura’.
 
[Pagina 57]
“Avevamo ispettrici di polizia che fingevano di fare la tesi di laurea per controllare i vicini di banco. Agenti che occupavano per tante settimane un appartamento, e ogni giorno, alla stessa ora, in modo da non destare sospetti, uscivano per andare a lavorare alla Fiat”. Lo scopo era quello di scoprire come funzionava la macchina dell’avversario, chi erano gli aderenti all’organizzazione terroristica e come si muovevano.
 
[Pagina 102]
“Io spesso sento alla radio questi conferenzieri che in gioventù facevano i terroristi e penso che questi signori sono stati in carcere, hanno ucciso, gambizzato ragazzi, eppure hanno il coraggio di parlare ancora. Mentre io, che ho rischiato la vita per difendere lo Stato e il Paese, sto zitto, nella mia solitudine, e non capisco perché sono diventati famosi. Non me ne capacito. Spesso anche solo il tono della voce mi ripugna. E poi i loro racconti li trovi in libreria, come fossero delle favole da propinare alle nuove generazioni”.
 
[Pagine 213 e 214]
Che mondo complicato. Forse era meglio l’antiterrorismo.
In un certo senso sì, allora avevo dietro di me l’opinione pubblica, l’attenzione dell’Italia che conta. I gambizzati erano tanti e quasi tutti negli uffici alti, giornalisti, magistrati, uomini politici. Con la mafia è diverso, salvo rare eccezioni la mafia uccide tra i malavitosi, l’Italia per bene può disinteressarsene. E sbaglia.
 
Perché sbaglia, generale?
La mafia ormai sta nelle maggiori città italiane (era il 1982, n.d.r.), dove ha fatto grossi investimenti edilizi o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa “accumulazione primitiva” del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte, che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere.
 
Fabiola Paterniti
TUTTI GLI UOMINI DEL GENERALE
la storia inedita della lotta al terrorismo
Melampo, 2015 – Euro 16.
 
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