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Uomini di basket
PIER FRANCESCO BETTI: RICOMINCIO DA CANTÙ.
Anno 2017. Pier Francesco Betti al lavoro a Cantù.

Anno 2001. Pier Francesco Betti a Roseto, nella foto con Roberto Brunamonti.

Anno 2003. Pier Francesco Betti a Teramo.

Intervista al direttore sportivo della squadra lombarda, che con lo stesso incarico ha vinto la Serie A2 prima a Roseto e poi a Teramo.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 09 Luglio 2017 - Ore 19:00

L’AbruzzoBasket di Serie A1 ha due costanti: Mario Boni in campo, Pier Francesco Betti dietro la scrivania. Infatti, spulciando gli annali, è evidente come gli unici due protagonisti presenti sia nella storica promozione del Roseto (2000) sia dell’altrettanto eccezionale impresa del Teramo (2003) siano “SuperMario” il cannoniere e “Pieffe” il direttore sportivo.

Dopo una stagione in cui è stato fermo, successiva a un lungo periodo da general manager in A2 a Ferentino, Betti è da qualche giorno il nuovo direttore sportivo di Cantù. Ci abbiamo fatto una chiacchierata. Eccola.

Pier Francesco, che effetto ti fa tornare in Serie A?
«Prendo spunto da una tua intervista di qualche anno fa al mio amico Marco Giampaolo (attuale allenatore della Sampdoria, n.d.a.), per ripeterti ciò che lui ti disse quando firmò per l’Empoli: spesso ho avuto la sensazione di dover scontare un ergastolo e, di conseguenza, di non poter mai più tornare in “A1”. Non solo lo scorso anno, ma anche quando ho lavorato per anni in A2. Tornare nel massimo campionato è perciò un sogno che si realizza e uno stimolo incredibile, per fare il massimo e non tornare più indietro».

Restare fermi dopo tante stagioni: cosa ti è mancato di più nel corso del campionato 2016/2017?
«Dopo tanti anni, staccarti da certe emozioni, tensioni, e non vivere 24 ore al giorno per quella che pensi essere la tua vita è dura. Dura anche se io ho visto partite di ogni campionato, sono andato due volte in America, ho cercato comunque di rimanere aggiornato. Stare un anno fermo mi ha permesso, poi, di riscoprire certi valori della vita che spesso tralasciamo a causa del lavoro».

Com’è cambiato il basket, a livello dirigenziale, da quando hai iniziato la tua carriera?
«La categoria dei dirigenti sportivi è diventata, agli occhi di molti presidenti, solo uno spreco di soldi. Quel tipo di presidente di solito poi il mercato lo fa lui, magari affidandosi in tutto e per tutto a un procuratore. Gli allenatori non vedono l’ora di avere il doppio incarico, non capendo che poi, durante l’anno, è importante il confronto quotidiano con un altro professionista, e che non sempre deve essere la stessa voce ad avere un dialogo con l’atleta. Molti, infine, passano da un anno all'altro da fare il coach a fare il general manager in un altra società, per poi magari tornare ancora ad allenare. Purtroppo, però, tutte queste storture sono anche colpa nostra, visto che non abbiamo un albo e chiunque si alza la mattina si mette a fare il dirigente. Siamo l’unica categoria che non ha un esame da superare per svolgere questa professione, ma credo che ormai sia troppo tardi per trovare una soluzione».

Sei andato a Cantù, dove c’è un patron “difficile” da prendere. La cosa ti intimorisce?
«So benissimo cosa mi aspetta, ma non ho paura di questo. Poi le persone devi sempre prima conoscerle, per dare giudizi definitivi».

Come ti stai trovando in questo primo periodo con la proprietà?
«Bene. La Presidentessa vive quotidianamente la vita del Club, mentre con il Proprietario fino a ora ho avuto solo contatti telefonici. Mi sento coinvolto e quindi per ora direi tutto ok, considerato che sono arrivato da solo due settimane».

La cosa più bella di tornare a lavorare nel basket della massima serie?
«È inutile dire bugie: per tanti aspetti, la Serie A è ancora molto avanti rispetto agli altri campionati. E, naturalmente, non mi riferisco solamente alla qualità dei giocatori».

L’obiettivo di Cantù?
«Dal punto di vista sportivo, lo scorso campionato Cantù è arrivato al 14° posto. Credo che una piazza come questa debba obbligatoriamente almeno partecipare ai playoff ogni stagione. Dal punto di vista organizzativo, ripristinare modalità, strategie e metodi lavorativi che, per una serie di motivi, negli ultimi tempi si erano persi».

Il tuo obiettivo?
«Ogni giorno entro in sede e sento il “peso” della storia di Cantù. Vedi foto di grandi giocatori, allenatori ed è un peso che ti mette con le spalle al muro. Quindi ho un unico obiettivo: lavorare al massimo quotidianamente,  per la Società che mi ha dato fiducia e per il mio futuro».

Luca Maggitti
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