Edoardo Di Emidio compie oggi 28 anni, avendo l’orgoglio di essere il regista della squadra di pallacanestro della sua città e la soddisfazione di essere arrivato a indossare i colori che porta nel cuore negli anni della maturità.

Il nostro ha tagliato i dreadlocks – dunque non sarà più “Spilu” per gli amici – che ne avevano fatto il primo playmaker rastafariano dell’ormai centenaria storia rosetana. Il reagge gli resta nel cuore e una chioma più raccolta gli consentirà docce più agevoli: per un atleta è utile.

Più lo guardo giocare, in questo campionato sghembo perché mutilato del pubblico, e più penso che Edoardo sia la Stele di Roseto, evoluzione moderna e cestistica della Stele egizia di Rosetta, che riporta un decreto tolemaico emesso nel 196 avanti Cristo sia in geroglifico sia demotico e greco antico. Grazie alla parte in greco, la Stele è una sorta di “Google Translate” ante litteram, che ha fornito una chiave decisiva per la comprensione della lingua egizia.

E che c’azzecca Edo? Chiederebbe Antonio Di Pietro, che non segue il basket.

C’azzecca, perché Di Emidio – play all’antica utile dappertutto, come dimostrano gli 8,6 punti, 4,3 rimbalzi e 4,3 assist di media in 32,7 minuti di impiego – rappresenta lo snodo indispensabile per far dialogare l’esuberanza giovanile di Nikolic con le invenzioni di Amoroso, la classe di Lucarelli con l’irruenza di Pastore, la grazia controllata di Ruggiero con la polivalenza di Serafini.

La sua capacità di lettura del gioco, unita a una umiltà e a un senso del ruolo che lo porta sempre a preferire il passaggio al compagno meglio piazzato prima di considerare la conclusione personale, è finora risultata fondamentale per le fortune del Roseto. Ricordando un grandissimo interprete del ruolo nella storia rosetana, anch’egli umile e dotato di intelligenza cestistica oltre la media: Leo Busca.

Buon compleanno, dunque, a Edoardo Di Emidio: la Stele di Roseto che ingloba, traduce e armonizza i vari linguaggi cestistici della squadra.