[Ricerca Avanzata]
Giovedì, 2 Maggio 2024 - Ore 12:26 Fondatore e Direttore: Luca Maggitti.

Cavalleria
SAVOYE BONNES NOUVELLES


La carica.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 10 Maggio 2005 - Ore 07:30

Il 24 Agosto 1942, a Isbuscensky, ci fu l’ultima carica di cavalleria della storia militare.

Una carica italiana, contro milizie russe (mongole, come leggerete più avanti) in numero quattro volte superiore.

Oggi mi è tornato in mente il libro di Luigi Gianoli che ho letto qualche anno fa e che racconta proprio di quella carica in un memorabile capitolo. Il libro si chiama “Savoye Bonnes Nouvelles” e prende il titolo dal motto del 3° Reggimento Savoia Cavalleria, che della carica di Isbuscensky fu protagonista.

Gianoli era nel Reggimento, in qualità di ufficiale addetto ai rifornimenti.

Come spiega nel prologo del suo libro, il motto “Savoye Bonnes Nouvelles” fu guadagnato dal reggimento durante l’assedio di Torino del 1706, quando un portaordini, nonostante una profonda ferita alla gola, riuscì a raggiungere le proprie linee e a portare un messaggio di vittoria al duca Vittorio Amedeo II. Il quale esultante gridò “Savoye bonnes nouvelles”.

Poco dopo il messaggero cadeva esanime mentre dalla sua gola usciva il sangue a fiotti colorando di rosso la cravatta bianca. Allora il duca, piegandosi commosso verso il cavaliere morto, ordinò: “In ricordo di questo coraggioso portaordini, ‘Savoia’ porti per sempre il filetto rosso al bavero nero della giacca”.

Ecco dunque i motivi per i quali ho voluto ricordarvi questo avvenimento agrodolce: la nobiltà della cavalleria e la differenza fra concetto di nobiltà e nobili.

Della cavalleria non dirò di più: sono troppo di parte per quanto riguarda cavalli e cavalieri. Chi mi conosce sa della mia passione.

Per quanto riguarda invece i nobili, ho repulsione assoluta per questi fenomeni che pretendono di farsi chiamare con i titoli nobiliari (aboliti da quella Costituzione sulla quale dovrebbero giurare in ginocchio).

La nobiltà, fatta quasi sempre dagli ultimi, che poi sono i più generosi, nulla c’entra con il sorriso irridente di qualche duca che non ha mai lavorato.

La nobiltà c’entra più con il portaordini arrivato sgozzato a fare il suo dovere o con il Capitano lanciato a sciabola sguainata, in testa ai suoi prodi cavalieri.

Cosa volete che ne sappia di nobiltà, ad esempio, lo sparatore dell’isola di Cavallo?

Ma torniamo a Isbuscensky.

Vi trascrivo una introduzione di Gianoli e alcuni passi passo del capitolo XIII (LA CARICA) del suo libro, edito nel 1988 dalle Edizioni Equestri di Milano.

In sella!

Luca Maggitti


“Questo libro non è e non pretende di essere né una cronaca né un documento storico, ma soltanto una memoria biografica e una espressione lirica del tutto personale di un dramma febbrile, sofferto, persino allucinante, ma eroico fino a diventare leggendario, leggendario come può essere stato il viaggio interminabile di uno sdegnoso reggimento a cavallo verso l’abisso di una meta ignota e misteriosa.
Disciplinati, orgogliosi, estetizzanti, procedevamo in sella a cavalli che ci liberavano dalla crudeltà della storia e dall’ansia della guerra e persino dal timore della morte.
Finché, dopo tanto andare e combattere, il nostro destino si sciolse un giorno nel furore glorioso e supremo di una carica.
Cercherò, se non altro, di restare fedele allo splendore, al lusso dei sentimenti e allo strazio di tanti ricordi vaghi e innamorati che non mi vogliono abbandonare.”
Luigi Gianoli


CAPITOLO XIII
LA CARICA

Si disse poi che senza ordini precisi né un calcolo né una preordinata coordinazione sia nata la grande carica. Non ci fu forse neppure il tempo per architettare una così complessa macchina tattica. Nacque in verità quasi per conto suo, per necessità e per logica militare, nacque per il dovere di vincere e l’impegno di sopravvivere, reazione violenta alla stessa rabbiosa minaccia di un nemico quattro volte superiore a noi, attuata con apparente indipendenza ma in intimo concerto dai comandanti di squadroni, dei sottufficiali e di tutti i cavalieri impazienti e poi subito scatenati all’assalto mentre i russi, anzi i mongoli – si trattava di due reggimenti siberiani, gente spietata – cominciavano ad aggiustare il tiro dei cannoni e dei mortai sul nostro esiguo quadrato provocando certo disordine, qualche cavallo “scosso” che fuggiva spaventato, qualche soldato che passava di corsa per raggiungerlo, qualche ferito che si dibatteva a terra.

…..

De Leone stava spiegando il suo squadrone a frotte, aveva già ordinato la direzione e il trotto era subito fiorito di leggere criniere fluttuanti al vento lungo il pendio, il capitano in testa, impaziente, la sciabola sguainata lampeggiante e protesa a indicare la via, gli occhi accesi e presaghi della furibonda libertà d’una carica. Sempre al trotto lo squadrone si allargava, aggirava lo stagno e, ben defilato al tiro e alla vista del nemico, attuava la conversione a sinistra, maestoso come una grande nave che, doppiato il capo, punti verso l’oceano aperto, qualcosa di così favolosamente bello da stregare Manusardi, già in sella a Bergolo, trascinarlo fuori dal quadrato e raggiungere al galoppo il suo vecchio squadrone e presentarsi a De Leone salutandolo così: “Agli ordini, signor capitano, un frustino in più”. “Per il vostro vecchio comandante, galoppo!”, esplose commossa e tonante la voce di De Leone e un brivido passò come una folata di vento per tutto lo squadrone. Il galoppo in breve si allungò fino a diventare carriera sfrenata verso la sommità del costone, ultima barriera dopo la quale lo squadrone si precipitò come un torrente in piena sull’ala destra dello schieramento nemico. Così la carica partì delirante e scatenata, sogno, leggenda, realtà che resero immemori ufficiali e cavalieri della vita stessa. Il fragore degli zoccoli, un murmure pauroso, sorprendeva il nemico annidato nella steppa, lo spaventava, lo travolgeva mentre i cavalieri lanciavano bombe a mano nei nidi di mitragliatrici impedendone ogni reazione. Chi s’alzava impugnando un fucile, la sciabola lo sfondava sino all’anima. Erano cento a volare ad un galoppo concorde e accanito lasciandosi indietro polvere e sangue.

…..

Dopo sei ore di battaglia, del nemico non restavano che pochi fuggiaschi, molti i prigionieri, molti i morti, sei ore di battaglia frenetica, violentissima di cui ciascuno pativa ancora l’orgasmo che ci faceva tremare il labbro e le mani, una commozione profonda che provocava un sussulto prossimo al pianto, ma un pianto vicino all’estasi per sigillare eternamente nella memoria del cuore il fragore, la furia, il furore dell’epopea gloriosa e impedire al carico dei giorni di cancellare tanto splendore.

…..

Prima vennero spediti nelle retrovie i feriti, poi vennero sepolti i morti, quarantasette in quarantasette fosse tutte uguali, allineati sul falsopiano che guarda il placido Don. Là sotto andarono a riposare Litta, Abba, Ragazzi e tanti altri amici mentre la carica si trasformava ormai in un resoconto cifrato che si stava trasmettendo al Generale Barbò, un registro di defunti, di feriti, di cavalli da “scaricare”, di armi catturate, di prigionieri. Era un’azione che esigeva anche un nome. Lo si cercò sulla carta. Il paese più vicino era Bobrowsky, ma a Bettoni non piacque.
“Meglio questo, Isbu … Isbuscensky.”
“Va bene”, rispose Piscicelli e così anche la carica ebbe il suo nome di battesimo.

…..

Luigi Gianoli

ROSETO.com
Stampa    Segnala la news

Condividi su:




Focus on Roseto.com
Roseto.com - Il basket e la cultura dei campanili senza frontiere. - Registrazione al Tribunale di Teramo N. 540 Reg. Stampa del 19.08.2005.
Direttore responsabile: Luca Maggitti   Editore: Luca Maggitti   Partita IVA 01006370678
© 2004-2024 Roseto.com | Privacy | Disclaimer Powered by PlaySoft