Il Mondo in Moto [Giovanni Lamonica]
LA VIA DORATA DI SAMARCANDA

Una rubrica per scoprire i posti più belli della Terra con Giovanni Lamonica. Viaggio in Asia, nel 2006, percorrendo 17.543 chilometri in 50 giorni.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 22 Febbraio 2012 - Ore 23:30
Il navigatore fisso sulla direzione est, giorni e giorni seguendo un obiettivo che è anche un sogno. Samarcanda! Un viaggio, vero, di quelli che, irrimediabilmente, lasciano il segno in chi ha la fortuna di parteciparvi.
 
Ci sono 7 traghetti che fanno la spola tra le due sponde del Mar Caspio, ma con orari particolarmente flessibili e quasi esclusivamente adibiti al trasporto di merci.
 
Si raggiunge un primo accordo, ad un prezzo spropositato, con un Caronte caucasico dagli occhi celesti. Espletamento delle formalità doganali e primo imbarco dei mezzi. La stiva è completamente piena di vagoni ferroviari che trasportano cereali. Sistemiamo le moto ed inizia l’ingresso degli ultimi quando improvvisamente accade qualcosa: Caronte, camicia aperta a mostrare una pancia da galleggiamento di salvataggio, fa capire con modi alquanto scortesi che i ritardatari devono abbandonare la nave.
 
Le urla aumentano e compare anche gran parte dell’equipaggio. Dovranno intervenire le guardie doganali per ristabilire l’ordine e permettere a tutti di salire a bordo. L’imbarcazione come le altre, fa parte di uno stock iugoslavo acquistato dal governo. Le condizioni sono a dir poco disastrose. Per un supplemento di altri 10 dollari riusciamo a rimediare anche 6 cabine, 3 dollari per la cena.
 
Saranno circa 20 ore di navigazione. Il viaggio è iniziato! Lo confermerà l’entrata in Turkmenistan: diverse ore per l’ingresso. Siamo in pieno deserto, nonostante il mare sia ancora visibile e come ci allontaniamo la colonnina di mercurio schizza a 48 gradi!
 
Mi ripeterò, ma questi luoghi hanno un’influenza fortissima, sono una specie di catalizzatore che trasporta i propri pensieri su livelli più ascetici e riflessivi. Qui tutto diventa secondario. Il tempo si dilata insieme agli spazi. Ho letto da qualche parte, probabilmente Chatwin, che a sua volta aveva attinto da qualche altra fonte, che chi percorre il deserto da solo, riesce a trovare una pace interiore che è la cosa più simile alla fede in Dio. Non sono un credente, ma non posso che condividere tali affermazioni e, per quanto riguarda la solitudine il fermarmi continuamente a scattare foto, mi mette immediatamente nella condizione più felice, lontano dal gruppo.
 
Il Tukmenistan, è una repubblica in gran parte desertica, ma che offre degli scenari splendidi.
L’attraversamento del confine uzbeko è più semplice dei precedenti, ma a complicare le cose interviene un malore di uno dei partecipanti dovuto ad un colpo di calore con conseguente disidratazione. Dovrò accompagnarlo in ospedale insieme alla guida locale del gruppo scortando con la moto la mini ambulanza. Prima visita in una clinica, poi flebo nel locale ospedale a Nukus.
 
La struttura non è sicuramente all’altezza delle nostre: molte infermiere, pochi, pochissimi malati, non hanno medicine che devono essere acquistate da Awar, la guida che ci accompagnerà nei prossimi giorni, ma il personale è gentile e rappresentiamo sicuramente un’attrazione. A turno vengono a farci visita medici, infermiere e personale. Conosco anche la direttrice sanitaria, Tabassum, che in uzbeko vuol dire “colei che ride”.
 
Con Awar che traduce, discutiamo del più e del meno mentre la flebo cerca di rimettere in piedi un Walter alquanto spento e sottotono. Quando scoprono che sono qui per fotografare e che l’imprevisto mi ha impedito di fermarmi negli splendidi cimiteri che ci sono all’ingresso della città, “colei che ride”, che lo è anche di fatto, mobilita un’ambulanza con tanto di autista per accompagnarmi sul posto. Awar sembra perplesso e mi raccomanda di non dilungarmi troppo, bisogna raggiungere il resto del gruppo. Che luci!
 
Torniamo, Walter ha terminato, anche se non sembra in gran forma, salutiamo tutti con calorose strette di mano e raggiungiamo l’albergo di fine tappa. I deserti non sono finiti, ma questo Kyzylkum è fra i più monotoni incontrati nel corso del viaggio. Sono l’ultimo tanto per cambiare, faccio benzina prima di prendere la 380 dove per almeno 280 chilometri non dovrei trovare rifornimenti. Ho riempito anche un paio di bottiglie, che dovrebbe consentirmi di attraversare questa arida steppa senza problemi. Al distributore dopo 2 controlli di polizia, la benzina non c’è, ma mi dicono che a 2 chilometri avrò più fortuna.
 
Parto ed incrocio il gruppo fermo per la sosta pranzo. Devo dire che ci sono più ristoranti che benzinai su questa strada. Awar mi vede e sembra felice, facendomi un gesto per complimentarsi per il mio arrivo, era convinto che mi fossi perso o fossi rimasto senza benzina. Ne approfitto per rabboccare 4 o 5 litri di benzina. Naturalmente anche il secondo distributore è senza benzina. Stavolta sarei rimasto a secco per strada!
 
Dopo 50 chilometri, finalmente trovo un benzinaio funzionante ed operativo. Solo benzina 76 ottani, ma la Transalp - nonostante batta in testa piuttosto rumorosamente - la sta sopportando da diversi giorni. Una cisterna sta caricando qualche migliaio di litri e vengo circondato dai soliti curiosi. Arriva un pulmino che tranquillamente passa davanti a me ed alle 3 macchine in attesa. I curiosi mi spiegano a gesti che deve solo rifornirsi di 2 litri. Va bene. Qui devi comunicare in anticipo il quantitativo di carburante. Cominciamo con 5 litri, poi 3, seguiti da altri 3.
 
Bene, arrivo a Bukhara, passiamo alla cassa. L’omaccione all’interno dello spioncino mi mostra un calcolatore con scritto 9.000.
“!!!” gli indico a gesti di rifarmi il conto.
Digita 15, poi 600.
Provo a dirgli che sono stati erogati 10 litri.
Uno dei curiosi, spione, gli dice che sono 11.
 
Ripete l’operazione, ma non ci siamo ancora, gli strappo la calcolatrice dalle mani e digito 11 per 510, che sarebbe il prezzo della 76 ottani. 5610 Sum, che poi sarebbe la loro moneta. Mhh, meglio, gliene do 5000, mi fa un cenno con la mano, gliela stringo e me ne vado.
 
Ho letto che i vecchi uzbeki, secondo una vecchia tradizione, recitano che Samarcanda è la bellezza della terra, ma Bukhara è soprattutto la bellezza dello spirito. Samarcanda evoca viaggi avventurosi al di là dell’ignoto, una cascata di lettere che apre la porta su immagini fantastiche, Bukhara no, è spesso solo un punto geografico lungo la via della seta.
 
Eppure tutto ciò è strano. Bukhara, che per i credenti è l’occhio di Dio sulla terra, il pilastro dell’Islam e per i laici è comunque “Bukhoro-i-Sharif”, la nobile spesso viene dimenticata dalle cronache. La parte più antica è bellissima, piena di vita, uno di quei posti dove rilassarsi e godersi le giornate, bighellonando per le sue viuzze ed i suoi mercati che si aprono improvvisi. Tutto ciò diventa in brevissimo tempo la cosa più naturale da fare. Mi era già capitato di trovare posti così in sud America: tutto sembra perfetto, le persone sono sempre gentili, le ragazze sono tutte carine. Difficile arrivarci, forse, facilissimo fermarsi anche più del dovuto, uno dei quei posti dove ci si torna volentieri. Letteralmente conquistato, ho voluto attendere di visitare anche Samarcanda, prima di buttare giù le mie considerazioni.
 
Già Samarcanda.
 
“Non viaggiamo per il commercio, da venti più caldi sono infiammati i nostri cuori più ardenti. Per la bramosia di conoscere ciò che non dovrebbe essere conosciuto, percorriamo la strada dorata che conduce a Samarcanda”. Come recita James Elroy nei versi di Hassan.
 
Nessun nome richiama di più alla mente la via della Seta di quello di Samarcanda. Ed alla fine ci siamo, il momento è arrivato, dopo 8.036 chilometri, la città di Tamerlano, Timur “lo zoppo” è li! Ma l’atmosfera è quella di una città, che va espandendosi, bella, in alcuni punti bellissima, ma con ritmi da metropoli, un po’ asettica, rispetto all’immaginario. Dopo 2 giorni di visite, vorrei ritornare a Bukhara, la città santa e dannata allo stesso momento.
 
Perché Samarcanda evoca leggende e sogni, assurge a rifugio dell’anima e della fantasia, in mirabolante compagnia di nomi altrettanto altisonanti come Zanzibar e Timbuctu, mentre Bukhara è immeritatamente ritenuta solo una città di mercanti senza scrupoli, di tessitori di tappeti? Io preferisco e di gran lunga quest’ultima. Ed anche Khiva, nelle mie personalissime preferenze supera quella che è la meta, il sogno, il desiderio di questo viaggio!
 
Ma siamo agli sgoccioli, manca solo il trasferimento di 300 chilometri a Tashkent, cuore organizzativo ed amministrativo di questa area geografica che risponde al nome di Asia centrale per consegnare i mezzi ed imbarcarsi sul volo che ricondurrà i partecipanti in Italia.
 
Ed ora? Tocca “solo” rientrare via terra, ma questa è un’altra storia.
 
 
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Il Mondo in Moto [Giovanni Lamonica]
PUNTATE PRECEDENTI
 
Venerdì 9 Dicembre 2011
GIOVANNI LAMONICA: L’UOMO CHE GIRA IL MONDO IN MOTO.
 
Mercoledì 14 Dicembre 2011
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Mercoledì 21 Dicembre 2011
A MARAMURES, NELLA TERRA DEGLI ANTICHI DACI. Europa, Romania, 2005.
 
Mercoledì 28 Dicembre 2011
SOGNI SUDAMERICANI. Sud America, Bolivia, 2003.
 
Mercoledì 4 Gennaio 2012
LE MACCHINE DA PESCA. Italia, Abruzzo, 2008.
 
Mercoledì 11 Gennaio 2012
IL LAGO D’ARAL CHE NON C’E’ PIU’ E IL CAPITANO IMPAZZITO. Asia, Uzbekistan, 2006.
 
Mercoledì 18 Gennaio 2012
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Mercoledì 1 Febbraio 2012
PRIMAVERA IN TRINACRIA. Italia, Sicilia, 2009.
 
Mercoledì 8 Febbraio 2012
IL RICHIAMO DEL GRANDE NORD. USA, Alaska, 2000.
 
Mercoledì 15 Febbraio 2012
TUNISI: LA CITTA’ CAPITALE. Africa, Tunisia, 2006.
 






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