La zona di Moab, al confine meridionale tra Utah e Colorado, è una vera e propria Dysneyland della natura. Visitata da 2 milioni di turisti all’anno, rappresenta una delle aree più suggestive ed impressionanti di questa fantastica parte degli Stati Uniti: il sud-ovest dei parchi nazionali.
Sembrerà strano, ma fu il boom dell’uranio negli Anni ’50 a far conoscere l’esistenza di Moab e dei suoi spettacolari paesaggi.
I fantastici scenari, sono utilizzati ancora oggi come set per numerosi film, ed è capitato anche al sottoscritto di imbattersi in una troupe cinematografica percorrendo la 313 verso “isle in the sky”, completamente ignorata a causa di quello che ritengo uno degli scenari più straordinari che mai mi sia capitato di ammirare.
La cittadina, un semplice misero puntino sulla cartina fino a qualche anno fa, è diventato un centro semi rurale molto chic di circa 6.000 anime. La principale attività? Turismo, poi turismo ed ancora turismo.
I numeri? I quasi 100 esercizi fra alberghi e bed & breakfast, offrono più di 2.000 camere, per non parlare dei quasi 1.500 posti disponibili nei campeggi.
Ma come mai tanta affluenza? Presto detto: nel raggio di poche decine di chilometri è possibile visitare il Canyonlands National Park, per me uno dei parchi più belli di tutto il Nord America, e se non dovesse bastare, (ma già da solo vale la visita) la zona può offrire l’Arches Nat. Park ed il Dead Horse State Park.
Essendo il paradiso dell’attività all’aria aperta, la possibilità di noleggiare in zona moto o quad è di una semplicità disarmante, un gioco da bambini. Le agenzie che offrono servizi vari, dalle escursioni a cavallo, alle discese in gommone delle rapide del Colorado, dal trekking alle gite in moto e fuoristrada sono numerosissime, c’è addirittura l’imbarazzo della scelta.
Basterà percorrere la Main Street e cercare di spuntare il prezzo più conveniente.
Io dal canto mio col solito inseparabile Transalp non ho avuto questo genere di problemi. Arrivo da sud e decido di visitare la parte meridionale del parco, parliamo sempre del Canyonlands, 1.365 chilometri quadrati (sì, avete capito bene, e queste dimensioni lo rendono il parco più vasto dell’intero Utah), nonostante Hans, incontrato sulla strada scendendo dal North Rim del Grand Canyon, mi avesse detto che per arrivare al Confluence overlook, avesse bruciato la frizione della sua Transalp: loro erano in 2, forse ce la faccio ad arrivare su questo strapiombo dove qualche migliaio di metri più in basso, si uniscono per continuare la loro corsa verso le barriere artificiali del Lake Powell, il Green River ed il Colorado.
Ma all’ingresso il ranger, gentilissimo come al solito, mi conferma l’inutilità di tanta fatica, visto che la pista è difficilmente percorribile anche dai una four wheel drive, e mi consiglia di tralasciare anche l’altra deviazione, il Needles overlook, altro punto panoramico nel lento avvicinamento verso Moab, spostato di circa 35 chilometri dalla principale highway 191, per andare direttamente nella parte settentrionale del parco.
“Non crederai ai tuoi occhi!” aggiunge.
“E che sarà mai?” dopo mesi di Nord America sono quasi vaccinato a quello che la natura può riservarmi soprattutto in questo angolo degli States.
La mattinata è ormai a buon punto, e la curiosità mi sta lentamente divorando. Ma l’appuntamento con “isle in the skye”, il nome è tutto un programma, deve essere rinviato al giorno successivo. Come al solito mi dilungo un po’ troppo per strada, scattando foto, parlando con camionisti che incrocio lungo il cammino, ma che fretta c’è?
Arrivo così a Moab, nel tardo pomeriggio, anche perché se questo è sicuramente il migliore periodo dell’anno per una visita (scarsa, o sicuramente meno intensa l’affluenza turistica, con giornate così limpide da sembrare direttamente inseriti in un programma DVD ad altissima definizione) ma la contropartita sono delle giornate relativamente corte che abbreviano di molto la guida e le visite.
La mattina seguente, di buon ora sono già per strada, reflex pronta allo scatto, ma assolutamente all’oscuro di quello che mi attenderà di lì a qualche ora.
Gli opuscoli pubblicitari fantasticano che nelle giornate più chiare e limpide in questa parte dello Stato la vista può spaziare fino a 100 miglia. Esagerati!
Mi dirigo a nord fino alla junction con la hwy 313, la imbocco, e dopo una quarantina di chilometri sono di nuovo all’interno del parco.
Il visitor centre è all’imbocco di “Isle in the sky” ed è una vera miniera di informazioni. Non ci sono tante strade ma è bene farsi consigliare per affrontare e sfruttare al meglio le migliori ore di luce nei vari overlook disseminati lungo questo budello di una trentina di chilometri scarsi.
Ok, prima le strade asfaltate, quindi decido di fare la conoscenza con “l’isola nel cielo”, e non impiego molto a capire il perché di un nome così particolare: questo immenso blocco di terra galleggia letteralmente nell’aria a circa 2.000 metri di altezza, sospeso nel vuoto, con una vista che spazia all’infinito (non sono sicuro che la visibilità possa arrivare a 150 chilometri, ma credetemi, in questo periodo dell’anno, siamo molto vicini ad una distanza del genere!), compresso, in basso, ma molto più in basso, dal corso del fiume Colorado e da quello del Green River.
I punti panoramici sono ben 9, alcuni richiedono una breve camminata, ma niente di impegnativo.
La cosa degna di nota è che anche la strada rappresenta una vera delizia per gli occhi e la guida, prestando attenzione ai bordi che spesso si avvicinano assai pericolosamente al niente assoluto.
Tutto qui? Naturalmente no. Circa 400 metri più in giù “l’isola” è circumnavigata dalla “white rim road” che corre direttamente sul bordo dei 2 canyon, e questa si può guidare in moto.
110 miglia di sterrato non molto impegnativo, che richiedono una giornata o più di viaggio, anche perché le soste con un simile scenario si moltiplicheranno in maniera esponenziale.
In queste condizioni si arriverà alla fine della giornata ricordandovi che manca ancora all’appello il Dead Horse State Park. Stanchi? Non fa niente, abbandonate il torpore dei vostri muscoli, l’appetito, l’arsura in qualche meandro dei vostri bauletti: tornando indietro verso la hwy 191 la deviazione è lì sulla destra, sicuramente il punto più spettacolare della zona per assistere al tramonto. Arrivo un po’ in anticipo, pago, e mi dirigo verso “the neck”, il collo, uno strettissimo, angusto, sottile passaggio asfaltato che mette in comunicazione il resto del mondo col “dead horse point”, un piccolo promontorio 2.000 piedi sopra il corso del Colorado.
Anche il Meander overlook, lungo la strada, non è niente male.
Riparto, arrivo al parcheggio, 2 passi per arrivare sul balcone, mi sporgo e... pazzesco! Non riesco a mettere a fuoco il panorama, i miei parametri visivi sono completamente sballati, le distanze perdono ogni significato. La vista si ubriaca dell’orizzonte.
Canyon e canyon a perdita d’occhio.
E che colori! Il rosso viene passato completamente in rassegna, in tutte le sue sfumature possibili ed immaginabili.
Rimango ebetito fino allo scomparire dell’ultimo raggio di luce (stiamo parlando quindi di qualche ora!).
Michael, da Birmingham, in vacanza con la famiglia mi dice: “La cosa più assurda è questo incredibile silenzio!”
La frase, nella sua banalità sicuramente scontata, è assolutamente vera. Il silenzio, un silenzio rumoroso che assorbe tutto come una spugna: suoni, voci, risa, il rombo dei motori, perfino il volo perlustrativo di aerei turistici!
Rientro all’ostello che ormai è buio.
Ma la zona ha ancora molto da offrire al visitatore: l’Arches National Park, vanta la più alta concentrazione di archi in pietra arenaria del mondo.
Ci sono più di 200 archi e tutti concentrati in un’area relativamente piccola di circa 300 chilometri quadrati.
Quì si deve camminare. La prima parte chiamata “Windows Section”, offre una serie di spettacolari concrezioni a brevissima distanza dalla strada, e dà il meglio di se stessa la mattina presto.
La seconda, che poi ha di fatto solo il “delicate arch”, ha 2 punti panoramici: al primo si accede con una sgambatina di circa 1 ora, il secondo sono 5 km, 3-4 ore, forse più, ma a sentire altri turisti, no, non ci sono arrivato, addirittura entusiasmante al tramonto.
La terza infine il “Devils Garden”è sicuramente quella più interessante, 3 ore di marcia, ma gli archi sono così tanti e così concentrati da valer bene una sudata, e che sudata!!
Per le foto anche qui l’orario migliore è al mattino presto.
E adesso? Il viaggio continua.
Non resta che entrare in Colorado seguendo il corso del fiume omonimo, che viene costeggiato per quasi 40 miglia dalla highway 128, che si dirama appena oltrepassata Moab, per poi picchiare verso sud.
CURIOSITA\'
Circa 65 milioni di anni fa, all’epoca dei grandi spostamenti della crosta terrestre, un’enorme “zolla” fu spinta 2 chilometri e mezzo sul livello del mare, formando quello che oggi è l’altopiano del Colorado. La vasta area, ubicata nello stato dell’Arizona e dello Utah, è attraversata dall’omonimo fiume, che nel lungo tragitto dalle Montagne Rocciose al Golfo di California percorre 2.334 chilometri
La via del fiume Colorado è stata una dura conquista soprattutto lungo il medio corso dove, alleandosi con le piogge e d i forti venti, ha saputo costruirsi un comodo letto, erodendo nel corso di milioni di anni spettacolari gole profonde quasi 2 chilometri ed in alcuni punti larghe quasi 30.
Il corso del Colorado in questo tratto unisce allo straordinario interesse paesaggistico un notevole valore scientifico, in quanto le sue stratificazioni sono un’autentica miniera per le ricerche dei geologi.
Senza dubbio una delle parti più spettacolari, parco dal 1964 è quella di Canyonlands: 527 miglia quadrate abitate da coyotes, capre di montagne ed altre specie, che le attribuiscono l’appellativo di “Wild America”
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Il Mondo in Moto [Giovanni Lamonica]
PUNTATE PRECEDENTI
001 Venerdì 9 Dicembre 2011
GIOVANNI LAMONICA: L’UOMO CHE GIRA IL MONDO IN MOTO.
002 Mercoledì 14 Dicembre 2011
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003 Mercoledì 21 Dicembre 2011
A MARAMURES, NELLA TERRA DEGLI ANTICHI DACI. Europa, Romania, 2005.
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SOGNI SUDAMERICANI. America, Bolivia, 2003.
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IL LAGO D’ARAL CHE NON C’E’ PIU’ E IL CAPITANO IMPAZZITO. Asia, Uzbekistan, 2006.
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PATAGONIA EXPRESS. America, Cile, 2000.
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009 Mercoledì 1 Febbraio 2012
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010 Mercoledì 8 Febbraio 2012
IL RICHIAMO DEL GRANDE NORD. America, USA, Alaska, 2000.
011 Mercoledì 15 Febbraio 2012
TUNISI: LA CITTA’ CAPITALE. Africa, Tunisia, 2006.
012 Mercoledì 22 Febbraio 2012
LA VIA DORATA DI SAMARCANDA. Asia, Turkmenistan e Uzbekistan, 2006.
013 Mercoledì 29 Febbraio 2012
DAL CASTELLO AGLI EREMI. Europa, Italia, Toscana, 2009.
014 Mercoledì 7 Marzo 2012
CONQUISTADOR Y CONQUISTADO. America, Messico, 2009.
015 Mercoledì 14 Marzo 2012
I BALCANI. Europa, Bulgaria, 2005.
016 Mercoledì 21 Marzo 2012
PATAGONIA EXPRESS 2010. America, Cile e Argentina, 2010.
017 Mercoledì 28 Marzo 2012
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018 Mercoledì 4 Aprile 2012
KALLISTE: LA BELLA CORSICA. Europa, Francia, Corsica, 2009
019 Mercoledì 11 Aprile 2012
CENTRO AMERICA: LA TERRA ‘MEGA’. America, Centro America, 2004.
020 Mercoledì 18 Aprile 2012
LUCE ETERNA. Europa, Scandinavia e Repubbliche Baltiche, 2001.
021 Mercoledì 25 Aprile 2012
ABRUZZO, SEMPRE E COMUNQUE. Europa, Italia, Abruzzo, 2009.
022 Mercoledì 2 Maggio 2012
ISLANDA: AI CONFINI DEL MONDO. Europa, Islanda, 2008.
023 Mercoledì 9 Maggio 2012
SUDAMERICANA. America, Sud America, 2003.
024 Mercoledì 16 Maggio 2012
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032 Mercoledì 11 Luglio 2012
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AT-TARABLUS, VIAGGIO NELL’ARABA TRIPOLI ALLA RICERCA DELLE MOTO… Africa, Libia, 2006.
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039 Mercoledì 29 Agosto 2012
FAR OER: LE ISOLE DELLA PIOGGIA. Europa, Danimarca, Isole Far Oer, 2004.
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041 Mercoledì 12 Settembre 2012
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042 Mercoledì 19 Settembre 2012
PATAGONIA EXPRESS PARTE TERZA