Stefano D’Andreagiovanni
IL BASKET E GLI SPONSOR. SECONDA META ANNI ’90 E FINO AL 2005.

Stefano D’Andreagiovanni ci racconta del rapporto fra aziende e pallacanestro in Italia. Un viaggio a puntate, estrapolato dalla sua tesi di laurea. 4^ Puntata.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Lunedě, 22 Settembre 2014 - Ore 15:30
Nel 1994 la FIP sancì il passaggio ufficiale del basket di vertice al professionismo, sulla scia della definitiva apertura della FIBA in tal senso (culminata con la partecipazione del Dream Team ai Giochi Olimpici di Barcellona nel 1992). I club di Serie A si dovettero trasformare in società di capitali e adeguarsi alla legge 91/1981 [1] oltre ad essere soggette ai controlli economico-finanziari della Com.Te.C. (Commissione Tecnica di Controllo).
 
Nell’estate dello stesso anno si palesò la pratica dei proprietari pronti a trasferire o vendere la struttura societaria (e spesso anche quella sportiva) da un club all’altro a seconda del progetto di sviluppo che poteva garantire una città rispetto ad un’altra, anche se l’impressione era quella di trovarsi davanti a mere operazioni speculative.
 
L’ex giocatore e imprenditore Angelo Rovati, che aveva acquisito la Virtus Roma due anni prima, dopo l’abbandono del gruppo Ferruzzi, cedette la società compreso il parco giocatori al “re delle televendite” Giorgio Corbelli, proprietario di Forlì. A sua volta Rovati acquistò la proprietà del club romagnolo. Corbelli inoltre salvò il club romano dalla retrocessione assorbendo i diritti sportivi della neopromossa Desio del patron Pieraldo Celada, che non poteva rispettare i nuovi parametri della Federazione [2].
 
Spinta da propositi di rilancio di una piazza come Milano (che attraversava un periodo difficile dopo anni senza successi con il pubblico in calo e difficoltà economiche) fu invece l’operazione di Bepi Stefanel, da dieci anni proprietario e sponsor di Trieste, che acquistò l’Olimpia da Gabetti lasciando la città giuliana, in polemica per il mancato impegno dell’amministrazione pubblica a costruire un nuovo palasport adeguato alle ambizioni della società. Con sé portò i migliori giocatori e l’allenatore Tanjevic. Si tentava di esportare il modello imprenditoriale della provincia con una accorta funzione di sostegno dei vivai e valorizzazione dei giovani talenti, su cui Trieste aveva costruito il nucleo di grandi giocatori passati in blocco a Milano insieme alla società (De Pol, Fucka e Bodiroga) [3].
 
Questi trasferimenti societari erano un aspetto che l’apertura al professionismo e ad una mentalità economica comportavano, non senza polemiche da parte dei tifosi, disorientati da tali meccanismi.
 
Intanto Bologna divenne la capitale del basket italiano: con la proprietà della Virtus passata a Cazzola [4] nel 1992 e quella Fortitudo a Seragnoli [5] nel 1993 i due club ebbero a disposizione ingenti risorse finanziarie che le hanno portate a sfidarsi ai vertici d’Italia e d’Europa in tutto il decennio. A livello imprenditoriale era ciò di più vicino al professionismo americano, con introiti da sponsor e da incassi notevoli [6], favorito senz’altro dall’enorme seguito della città.
 
Anche un’altra realtà di provincia come la Scaligera Verona andava verso la stessa direzione, raggiungendo i vertici grazie all’apporto della multinazionale farmaceutica Glaxo (con sede italiana proprio a Verona), entrata in società nel 1987 al fianco di Giuseppe Vicenzi, imprenditore alimentare veronese, affidando il ruolo di manager sportivo ad Andrea Fadini.
 
A Siena, con l’arrivo del General Manager Ferdinando Minucci nel 1992, venne accantonato il modello basato sull’apporto di un proprietario, riuscendo gradualmente a coinvolgere sempre più la banca cittadina Monte dei Paschi (che divenne sponsor principale nel 2000), oltre che le istituzioni locali. La stabilità raggiunta portò la Mens Sana nei piani alti della classifica, preludio al dominio che sarebbe arrivato nel decennio successivo.
 
Due gloriosi club come Varese e Cantù attraversavano invece un periodo di magra rispetto ai successi degli anni ’70 e ’80. Varese era stata ceduta nel 1981 da Borghi a Toto Bulgheroni, ex giocatore in maglia Ignis e produttore del cioccolato Lindt in Italia. Il tanto atteso scudetto della stella sarebbe arrivato soltanto nel 1999 sotto la presidenza di Edo, subentrato nella proprietà al padre nel 1992.
 
In Brianza invece un’altra pesante eredità, quella di Aldo Allievi, fu raccolta nel 1995 da Franco Polti, il “re del vapore”, che acquisì la proprietà del club canturino, dopo una prima stagione da main sponsor. Tuttavia il rapporto non decollò e si arrivò alla cessione dopo solo tre stagioni: il club passò nelle mani di Francesco Corrado nel 1999 scongiurandone la scomparsa (era praticamente fatta per la vendita dei diritti sportivi alla Scavolini Pesaro che avrebbe evitato così la retrocessione in A2).
 
La sentenza Bosman, con l’abbattimento dei costi dei cartellini, acuì le difficoltà economiche che già attraversavano le società. Salvo rari casi, c’era un continuo cambiamento della proprietà delle società, laddove non si riusciva ad effettuare una programmazione a lungo termine. Nonostante il Decreto Legge n. 485 del 1996 avesse reso possibile il fine di lucro per le società professionistiche, non c’era alcuna possibilità di realizzare utili, a fronte di costi tendenzialmente superiori ai ricavi, il che portava alla lunga all’uscita di scena dei vari gruppi imprenditoriali. Solo un’attenta gestione della proprietà dei club, improntata a garantire il pareggio di bilancio o laddove la passione del proprietario portava a ripianare le perdite con gli aumenti di capitale, garantiva la salvezza delle società cestistiche.
 
La fine degli anni novanta e i primi anni duemila hanno infatti visto il fallimento e l’esclusione di diversi club professionistici, comprese realtà storiche e dalla tradizione decennale in serie A1 e A2, condannate anche dalla maggiore severità dei controlli imposti dal professionismo. Ricordiamo la Juve Caserta nel 1998, la Pallacanestro Gorizia, l’Olimpia Pistoia e la Libertas Forlì nel 1999, la S.C. Montecatini nel 2001, la Scaligera Verona nel 2002, la Virtus Bologna nel 2003, la Pallacanestro Trieste nel 2004, la Victoria Libertas Pesaro nel 2005 [7].
 
NOTE
[1] Testo normativo che regola i rapporti in ambito lavorativo tra le società e gli sportivi professionisti  (atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi ei preparatori atletici).
[2] Desio ritorna nella serie A1 del basket ma adesso rischia di perdere la squadra, Il Corriere della Sera, pag. 42, 5 aprile 1994. La FIP e la Lega per poter partecipare alla A1 imponevano un palazzetto da 5 mila posti (anche se più volte derogato), una fidejussione bancaria di 750 milioni e almeno 1500 abbonamenti. Inoltre Celada criticava la mancanza di imprese locali pronte a sponsorizzare la squadra.
[3] Con la proprietà di Stefanel arrivò lo scudetto nel 1996. Tuttavia, non trovando appoggio dalla realtà imprenditoriale e istituzionale milanese decise di cedere la società nel 1999. Per l’Olimpia seguirono anni di continui cambiamenti ai vertici societari, senza un progetto duraturo.
[4] Alfredo Cazzola ha iniziato la sua carriera da imprenditore nel 1972 fondando la DEKO Allestimenti. Nel 1981 ha aperto una società dedicata all\'organizzazione di eventi fieristici, Promotor International, che acquistò la gestione del Motor Show. Nel 2007 ha ceduto tutte le aziende di sua proprietà alla multinazionale francese GI Events.
[5] Giorgio Seragnoli è figlio di Ariosto Seragnoli, il co-fondatore della G.D. Spa, gruppo industriale tra i leader mondiali nella produzione di macchine di packaging sottile. È stato vicepresidente della holding di famiglia CSII (in seguito scorporata tra gli eredi), che controllava la G.D e i nuovi business acquisiti. Finanziere, attraverso la holding King Spa ha investito in diverse operazioni.
[6] Sebastiano Vernazza, Bologna, dove il basket va in gol, La Gazzetta dello Sport, pag. 6, 5 agosto 1997. Nel 1997 le due società avevano complessivamente ingaggi per 24 miliardi e 900 milioni, ricevevano 3 miliardi annui dai main sponsor Kinder e Teamsystem e nella stagione 1996/97 gli incassi (paganti piu\' abbonati) erano stati: 8 miliardi 209 milioni per la Virtus e 6 miliardi 300 milioni per la Fortitudo.
[7] Il titolo sportivo (denominazione, stemma e bacheca) appartenente alle società scomparse è stato il più delle volte successivamente acquistato dalle nuove società che ne hanno preso l’eredità, quasi sempre sorte a partire dalla fusione con club iscritti a campionati inferiori.
 
[continua]
 
 
[BASKET & TELEVISIONE]
Il basket italiano in TV, dagli Anni ’50 ad oggi, splendidamente raccontato da Stefano D’Andreagiovanni.
Puntata 1 – ANNI 50, 60, 70. https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=11978
Puntata 3 – ANNI ’90 (1^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12014
Puntata 4 – ANNI ’90 (2^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12037
Puntata 5 – ANNI 2000 (1^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12062
Puntata 6 – ANNI 2000 (2^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12103
 
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Stampato il 11-23-2024 10:34:05 su www.roseto.com