Il DNA non è un’opinione.
Come spiega, saltando altissimo e facendo canestro, il pescarese Simone Fontecchio, classe 1995 e figlio di campioni.
I salti sono del padre Daniele, 6 volte campione italiano nei 110 ostacoli e 4 nei 60, semifinalista alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. I canestri sono della madre Malì Pomilio, campionessa italiana ed europea di basket con il Vicenza e atleta da 120 presenze con l’Italia. E se non bastasse ancora, ci sarebbe sempre il nonno materno, Vittorio Pomilio, cestista arrivato in Nazionale.
Un predestinato, insomma. Simone convive dalla nascita con una sala trofei che avrebbe incrinato molte spalle, non le sue: «Gli allori vinti dai miei familiari sono per me uno stimolo a fare sempre meglio, guai se fossero un peso».
Parla e sorride spesso, nel giorno del suo 19mo compleanno passato a Bologna, dove da 5 anni e mezzo gioca con la Virtus di Serie A. Che in classifica ha 10 punti (8, al netto di una penalizzazione), di cui 4 derivanti da due sue triple a fil di sirena che hanno decretato la vittoria delle “V Nere” prima in trasferta a Pistoia e poi, domenica scorsa, in casa contro l’Avellino.
Simone si schermisce: «Diciamo che sicuramente i miei due canestri hanno aiutato, ma non dobbiamo dimenticare che se siamo arrivati a giocarcela all’ultimo tiro c’è stato il lavoro di tutta la squadra, in attacco e in difesa».
Parole di un veterano, ma under 20. D’altronde, Simone è abituato alla competizione. Nel 2011, unico italiano invitato al “Jordan Classic” a Londra, poi gli Europei Under 16 e 18 con le giovanili dell’Italia e gli Scudetti Under 17 e Under 19 vinti nel 2011/2012 con la Virtus.
Un ragazzo abituato a stare in campo, che si coccola la sua passione per la pallacanestro al punto da rispondere, circa il regalo che vorrebbe ricevere per i suoi 19 anni: «Una vittoria contro Varese, nel prossimo turno di campionato, andrebbe benissimo».
Le sue due triple risolutive lo hanno catapultato in cima alle top ten dei filmati. Questa la sua ricetta per non far tremare la mano quando la palla scotta: «Mente libera, non pensare troppo al tiro e al suo peso specifico, altrimenti peserebbe troppo».
Abituato ai rimandi ai suoi importanti genitori, non si sottrae al gioco delle qualità tramandate, iniziando dalla mamma: «Da lei credo di aver preso la sua aggressività e la tenacia a livello sportivo, mentre a livello umano la generosità e la bontà». Parlando del padre, invece: «Da lui ho preso l’attitudine al lavoro quotidiano e la voglia di lavorare sui dettagli, che alla fine fanno la differenza».
La Virtus Bologna è più di una squadra: «Ormai è la mia seconda famiglia. Mi hanno dato tanto in questi anni e adesso per me è il momento di ripagarli e provo a farlo ogni domenica in campo».
Ammiratore del meglio (Michael Jordan, Kobe Bryant, LeBron James), Simone ritiene che sia ancora presto per parlare di futuro, parcheggiando al momento le sirene targate Eurolega o NBA. Ma se gli chiedi come s’immagina fra 10 anni, ha le idee chiare: «Intanto, vorrei giocare ancora a basket. Poi, spero di essere diventato un giocatore importante per la squadra in cui giocherò».
Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO Abruzzo, mercoledì 10 dicembre 2014.