Questo racconto è frutto di fantasia. I personaggi, le squadre, le circostanze, i dati, sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore. Se qualcosa di vero dovesse esserci, esso sarebbe citato in modo del tutto casuale, senza alcun intento di descrivere condotte reali. Perché – per dirla con Stanislaw Jerzy Lec – bisogna provocare l’intelletto, non gli intellettuali.
«Ci penso io a te. Ti presento la Tiffany. Gran figa… le offri un aperitivo e poi vai facile. Un giro con lei e ti passa tutta la malinconia per questa gara di merda. 100 euro ben spese, credimi! Ricordi quando feci 0/9 da 3? Andai da lei e mi rimise al mondo…»
Rosencrantz fece spallucce, scrollando i riccioloni. Guildenstern era un amico, il veterano della squadra, uno che di gare di merda ne aveva giocate nella carriera (anche se erano più le gare buone). Insomma, ci si poteva fidare di un suo consiglio. Però Rosencrantz aveva fatto –9 di valutazione in 30 minuti e neanche il pisello – nonostante i suoi 22 anni – voleva saperne…
Guildensterntornò alla carica. Scesi dal pullman, tornati dalla trasferta che era stato un bagno di sangue, stavano riprendendo i borsoni. Il veterano gli si avvicinò…
«Dai, eccoti il numero. Anzi, guarda, la chiamo io e te la mando. Risparmi pure sull’aperitivo, ma mi raccomando i 100 euro…»
Tiffany arrivò e Rosencrantz, nello stretto del suo appartamento, ebbe una vampata di calore. Figa vera. E, d’altronde, se trombava a pagamento racchia di certo non poteva essere.
Il –9 di valutazione fu dimenticato in 4 minuti (la lingua di Tiffany avrebbe potuto frustare una mandria di cavalli) e anzi fu la base d’appoggio per un certo numeretto del piacere. Una sorta di capovolta che fece desiderare a Tizio di cambiare la sua canottiera numero 13 con una più appropriata numero 69.
Rosencrantz era immerso nel vortice del piacere a pagamento, ma trovò comunque qualche secondo per benedire Guildenstern e il suo pornoconsiglio.
L’operazione “Dimenticare il –9 di valutazione” andò avanti un paio di ore. A prestazione finita, Rosencrantz consegnò la meritatissima 100 Euro a Tiffany, che se ne andò con la faccia sorridente di chi va a timbrare il cartellino in uscita dall’ufficio.
La domenica successiva, Rosencrantz giocò alla grande. Merito di Tiffany? Certo che no… o forse sì? Le strade del basket sono infinite.
Una sola certezza: se Tiffany era buona per mettere medicina sulle ferite della sconfitta, era buona pure per insaporire la vittoria. Guildenstern ritelefonò, Rosencrantz ritrombò.
Per un ventenne che gioca a basket in una città, le distrazioni non mancano. Così, tempo un altro paio di giri di giostra, Tiffany fu accantonata.
Ma non per sempre.
Tiffany tornò prepotentemente nella vita di Rosencrantz quando il ragazzo fu trovato positivo al controllo antidoping. Analisi e controanalisi e poi il verdetto: cocaina.
Rosencrantz non si dava pace. Era un ventenne come tanti altri, aveva i suoi vizi, ma la cocaina no, mai provata.
Fu messo fuori squadra, il Presidente gli fece un cazziatone e gli tolse lo stipendio, gli amici (alcuni pippavano davvero) iniziarono ad emarginarlo perché non faceva figo andare in giro con “il giocatore tossico”. La giustizia sportiva lo squalificò per due anni.
Rosencrantz iniziò a starci parecchio male. Un ventenne che dice di non aver preso cocaina quando le analisi dicono il contrario non può essere creduto.
Anche Guildenstern iniziò a dubitare di lui.
Chi lo tirò fuori dai guai? Tiffany, naturalmente!
La bella figa si presentò un giorno da Rosencrantz senza preavviso, con in mano un giornale in cui era pubblicato l’articolo che riguardava il giovane ventenne messo fuori squadra per problemi di cocaina. Lei aveva l’aria di una che l’ha fatta grossa e gli chiese: «Tesoro, tu prendi coca?».
Rosencrantz rispose sconsolato: «Mai usata. Mai pippato, cazzo! Ma non mi crede nessuno, perché le analisi dicono il contrario…».
Tiffany capì che era il suo momento: «Se non pippi, è giusto che io ti faccia uscire da questo brutto pasticcio. Mi hai pagato e non potevi saperlo. Una sera mi hanno messo della coca sulla pussy, un gioco con un cliente. Poi me ne hanno regalata un po’ e l’ho messa quando sono venuta la prima volta a trovarti. Il tuo amico mi disse che eri molto giù e pensavo di fare un giochino nuovo, senza dirti nulla...».
Rosencrantz strabuzzò gli occhi e la afferrò per un braccio: «Ehi, non puoi mollarmi… tu le devi dire queste cose… mi aiuterai, vero?».
«Ma certo, tesoro», lo tranquillizzò Tiffany.
Tiffany andò a deporre in un ricorso di giustizia sportiva e un membro della commissione giudicante (il cui membro, evidentemente, conosceva Tiffany) si fece paladino di quella strana versione dei fatti.
Rosencrantz fu creduto e scagionato. Con tanto di carta bollata. La squalifica di due anni fu revocata.
La carriera di Rosencrantz riprese. Dopo aver rischiato di andare a puttane…
P.S.
Se la cocaina fosse elio, tutta la NBA volerebbe.
[Arthur George "Art" Rust, Jr. (1927 – 2010), giornalista sportivo statunitense.]
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