Libriamoci [Invito alla lettura]
VINCERE NON BASTA: L’ECCEZIONALITA’ VISSUTA NORMALMENTE.

Pensieri sull’autobiografia di Sarunas Jasikevicius, scritta dal campionissimo in collaborazione con Pietro Scibetta.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 11 Giugno 2015 - Ore 20:45
Tito Schipa Jr., artista a tutto tondo e figlio del tenore Tito, trattando delle sue traduzioni di poesie del leader dei Doors, Jim Morrison, pubblicate in due volumi da Arcana (Deserto, 1989 e Notte americana, 1990), se ben ricordo ebbe a dire che il traduttore deve “togliersi di mezzo”.
 
È una delle scuole di pensiero. Che cozza con quella di altri traduttori secondo i quali, soprattutto mettendo mano alle poesie scritte in altre lingue, si deve fare di tutto per rendere il significato, anche stravolgendo la traduzione “parola per parola”.
 
Un po’ l’eterna disputa fra quelli che ritengono che un film in lingua originale sia rovinato dai doppiatori, e gli altri che rispondono che alcuni doppiatori hanno fatto la fortuna di attori e pellicole.
 
A metà fra un traduttore e un doppiatore – tralasciando qui gli aspetti di “ghostwriting” e “spin doctoring” per non essere accusati di lesa maestà – è Pietro Scibetta, giornalista e scrittore siciliano di origine, ma da sempre cittadino del mondo.
 
Pietro, classe 1981, è talmente bravo e scrupoloso nel suo lavoro da essere stato chiamato da una stella assoluta del firmamento del basket europeo come il lituano Sarunas Jasikevicius a stendere le sue memorie, dando vita a “Vincere non basta”, pubblicato quest’anno da “add Editore” (15 euro in versione cartacea).
 
Di solito un campione chiama qualche veterano e azzimato giornalista/scrittore per raccontarsi in un libro. “Saras”, classe 1976, ha invece Pietro da Agrigento, più giovane di lui di 5 anni, che oggi vive e lavora a Parigi dopo essere stato anni a Milano.
 
E credo che il campione abbia fatto la scelta giusta, perché Pietro – estensore materiale del libro (che significa tante cose, nessuna delle quali banali) – ha tagliato e cucito uno smoking che Jasikevicius può indossare con le scarpe da tennis.
 
Un racconto godibile, di una vita normale (anche gli uomini eccezionali vivono per larga parte vite normali), in cui i momenti di gloria e successo non sono mai strillati, bensì narrati con lo stesso rispetto dei momenti più intimi e delle scelte di vita apparentemente più banali.
 
Così l’uomo di Kaunas, che ha impresso a fuoco il suo marchio su una ventina d’anni di basket, si racconta grazie alla penna profondamente siciliana di Scibetta, che stringe un patto col suo confessore a base di fiducia e avvolge in pagine ritmate e ricche di riferimenti e date, non dando mai nulla per scontato. Un merito che molti libri di memorie non hanno, “dimenticando” a volte di ricordare anni e periodi, che invece sono fondamentali per la comprensione.
 
La vita di Sarunas Jasikevicius è paradigmatica. E non è al basket che mi riferisco. È una vita densissima, giocata fra Unione Sovietica in disfacimento e indipendenza lituana in arrivo, passando per il sogno americano due volte, la prima delle quali per donarsi alla sua seconda famiglia.
 
Il racconto di Saras, che ancora Under 40 è di certo un uomo che ha molto vissuto, alimenta riflessioni che mescolano vita quotidiana e basket, politica e metodi di allenamento, modi di vivere la pallacanestro e di pensarla, modelli vincenti sempre diversi eppure puntualmente efficaci.
 
Jasikevicius, forte di una sala trofei che fa provincia, ripercorre la vita da studente di college nell’America profonda (lo sapevate?), poi il ritorno in Europa e il suo diventare giocatore sempre più forte e decisivo. L’amatissima Barcellona e l’articolata Tel Aviv, la debordante Atene e l’avventura in NBA: tanti capitoli lungo 253 pagine scritte a spron battuto, durante le quali non ho mai colto un grammo di pompa autocelebrativa, conservando il piacere di una lettura ficcante in cui le pagine si equivalgono, per rendere la sbornia in compagnia interessante e divertente come la vittoria in Eurolega o come le liturgie lavorative di gente come Zmago Sagadin, Zelimir Obradovic, Pini Gershon.
 
Un uomo di una repubblica baltica, la Lituania, si racconta tramite un uomo di un regno mai diventato repubblica, la Sicilia. Il risultato è un bel libro che parla talmente tanto di basket da tesserlo fra trama e ordito della vita, rendendolo inestricabile dalla vita stessa.
 
Perché, con buona pace del parafrasato Gigi Marzullo, per Sarunas Jasikevicius sono vere entrambe le cose: la vita è il basket e il basket aiuta a vivere meglio.
 
L’ho letto con gioia. E apprezzato.
 




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