Sassari vince lo Scudetto 2015
I DIAVOLI SARDI, IL TALLONE D’ACHILLE E ALTRE RIFLESSIONI IN DISORDINE SPARSO.

Pensieri dopo Gara 7, che ha assegnato il Tricolore.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 27 Giugno 2015 - Ore 01:45
«Incredibile come un campionato così povero abbia prodotto un playoff così ricco».
Valerio Bianchini
 
PAROLA DI VATE – Al solito, Valerio Bianchini ha rotto il muro delle banalità con un pugno di parole ben assestato. Era il 24 giugno 2015, l’ultima pagina del libro dello Scudetto 2015 doveva ancora essere scritta, ma il coach su facebook aveva già riassunto mirabilmente la stagione.
 
DIMONIOS – «La nostra fedeltà / non c\'è denaro che la paga / andiamo! Diavoli! / avanti, Forza Insieme!». È l’epilogo di “Diavoli”, l’inno della Brigata Sassari. E ci volevano davvero i diavoli per vincere lo Scudetto in trasferta, dopo il primo quarto di Gara 7. E io ripenso a quel primo pomeriggio di una domenica fra il 1998 e il 1999, in cui attraversai la strada uscendo di casa per avvicinarmi a quel gruppo bardato di sciarpe verdi. Erano seduti a guardare il mare in un posto all’epoca brullo e oggi bellissimo (c’è il Cabana Park). Erano tifosi della Dinamo Sassari, del gruppo “Alta Marea”, venuti a Roseto per sostenere la propria squadra – se ben ricordo, all’epoca allenata da Andrea Carosi – per non farla retrocedere dalla A2 alla Serie B1. Portai loro una o due bottiglie di Montepulciano d’Abruzzo: il mio “in bocca al lupo”. La ricompensa fu la sciarpa verde, che conservo nel luogo dei trofei e dei ricordi belli di casa. Su un lato c’è scritto: “Sassari biancoverde / Forza Dinamo / Una fede, un mito, un orgoglio infinito”, sull’altro “Alta Marea / unici e irriducibili”. Da quel momento – grazie alle prime email – nacque anche un’amicizia con un tifoso, Andrea Sassu. Ecco, pensare che quella gente stasera starà godendo per il primo Scudetto, arrivato al termine di una stagione da tre successi (come si dirà “triplete” in sardo?”), visto che prima la squadra ha vinto la Supercoppa Italiana e poi la Coppa Italia, mi fa umanamente felice. Che poi ho visto fra i tifosi sardi anche Geppy Cucciari, con la quale parlai di basket a metà degli Anni ’90, insieme all’ingegner Settepanella, potendone apprezzare la competenza da ex giocatrice.
 
IL TALLONE D’ACHILLE – Mi dispiace, e molto, per Reggio Emilia. È stata una finale talmente bella ed equilibrata, che goderla senza tifare per nessuna delle due squadre me le ha fatte amare entrambe. Mi spiace per Amedeo Della Valle, conosciuto a Mosciano nel 2013, in occasione della sua preparazione con l’Italia Under 20 che avrebbe poi vinto il Campionato Europeo di categoria. Mi dispiace per Achille Polonara, strepitoso in campo, conosciuto ai tempi di Teramo e svezzato muscolarmente – essendo arrivato bimbo da Jesi – da Domenico Faragalli, prima di andare in prima squadra dove, oltre a Domenico, ha lavorato con Claudio Mazzaufo. Mi dispiace per la “Città del Tricolore”, che detta così sa di beffa. Ma sono stati eccezionali e meritano l’onore delle armi e l’applauso dei vincitori, che infatti sono andati ad abbracciare i loro avversari. Fra loro e lo Scudetto è stata questione di centimetri: quelli in cui si è conficcata la lancia dei diavoli sardi, proprio nel “tallone d’Achille”.
 
COMPETIZIONE = SPETTACOLO – Ripenso ai playoff appena finiti, li comparo alla mitragliata di scudetti consecutivi vinti da Siena in modo scontato e senza soffrire ed è come se il Rinascimento fosse sbocciato dal Medioevo. Nulla contro la Mens Sana, ma è ovvio che se il secondo sport nazionale assegna per mezza dozzina di anni lo Scudetto alla stessa squadra (di una città piccola e di provincia, per di più), qualcosa non va nel movimento. E, a livello mediatico e di proselitismo, le cose non possono che andare peggio. La ricetta – scontata, banale, semplice, eppure quasi sempre ignorata – è che lo sport piace quando c’è competitività, incertezza del risultato, esito delle partite difficile da pronosticare. E non c’è spot migliore, per il campionato di basket, delle serie finite a Gara 7. Avere una corazzata che fa strame degli avversari sarà bello per i tifosi della corazzata, ma per gli altri è un ascesso ai gabbasisi. E allora evviva il basket tornato all’esito incerto, il basket giovane e senza padroni, libero di crescere e di far innamorare nuove generazioni.
 
MARAMEO – «Coach Sacchetti? Un bluff. Gran giocatore, ma come allenatore... Le sue squadre non hanno uno schema, giocano alla viva il parroco». Dio quanti ne ho sentiti. Allenatori, dirigenti, procuratori. Ora che ci penso... nessun giocatore ha mai sputtanato il Meo nazionale. Chissà perché. Ma così è la vita, non solo nel basket, e come nei migliori funerali di mafia, la corona di fiori più bella e che arriva per prima di solito la manda l’assassino. Sono certo che coach Sacchetti, con il quale ho parlato non più di un paio di volte, ha il giusto fisico per “sbattersene alle palle”, come dicono nella Marsica, di chi gli si scappella davanti e lo pugnala dietro, così come benevolo accoglierà i complimenti (mai così meritati, direi) di chi gli vuole davvero bene. Io non dico niente, limitandomi ad osservare che quest’anno un solo coach ha vinto Supercoppa, Coppa Italia e Scudetto. E non aveva la squadra con il budget più alto (passata per le armi in trasferta in Gara 7).
 
L’ULTIMA CONTESA – Ho il piacere di conoscere tutti e tre gli arbitri di Gara 7: Luigi Lamonica, Roberto Chiari, Dino Seghetti. Luigi è ormai un amico, avendo io curato il suo libro “Decidere” e gestendogli la Pagina Facebook legata al libro. Roberto Chiari lo conobbi nel 2010 grazie a un altro arbitro amico, Maurizio Biggi, perché acquistarono il libro “Time Out” di coach Gabri Di Bonaventura, aiutando un progetto di lotta al cancro mediante la cura domiciliare di malati bisognosi di una fisioterapista (i ricavi del libro pagarono la fisioterapista, Valeria Pilolli, al servizio della onlus “L’Aquila per la Vita”). Biggi mi aiutò molto, piazzando numerose copie (ancora grazie, Biggio!) e un giorno, prima di una partita, fuori dall’Hotel Europa di Giulianova, incrociai il sorriso perbene di Roberto Chiari. Che ha avuto da Luigi l’onore di alzare il pallone della contesa della sua ultima partita (buona pensione, Roberto... io sono contro il limite dei 50 anni, sappilo!). Infine, ma non per ultimo, il fisicatissimo Dino Seghetti – avido lettore di “Scellone Popcorn” ai tempi del forum di ROSETO.com – che ci ospitò a Livorno per presentare “Decidere” e che intervistai, scoprendo un arbitro che fa molte cose interessanti (come, direi, la maggior parte degli arbitri). A loro i miei complimenti per la direzione di gara.
 






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