Quando – domenica 4 febbraio 2018 – ho abbracciato zia Rosaria, facendole gli auguri per i suoi 80 anni, lei mi ha ringraziato dicendo che avrebbe avuto piacere di avere lì con lei anche “Zì Giuvànn” e cioè il mio compianto Nonno, Giovanni Di Tecco. Entrambi ci siamo commossi, poi ci siamo imposti il sorriso perché il suo compleanno era giusto che fluisse – come poi è stato – leggero e bello.
A distanza di qualche giorno, rivedendo la foto che ci ha scattato mamma Liliana, ho ripensato al mio progetto di “quaderno” da intitolare “Brothers in Arms”, pubblicando le cartoline dal fronte che mio Nonno Giovanni (che era in Jugoslavia), spediva a casa o al fratello Franco (che era in Russia).
Nonno Giovanni prima Bersagliere poi Carabiniere, mentre suo fratello Franco Bersagliere, disperso in Russia.
Un giorno Nonno (classe 1921) mi raccontò che lui e suo fratello Franco (classe 1911) si fecero una promessa: se soltanto uno dei due fosse tornato vivo dagli orrori della guerra (che Nonno odiava, proprio perché l’aveva fatta davvero), avrebbe dovuto prendersi cura di entrambe le famiglie.
Così, quando Nonno tornò mentre suo fratello Franco cadde in Russia (catturato il 20.12.1942 e deceduto 17.03.1943, senza però che i resti mortali siano mai stati rimpatriati perché impossibili da trovare), “incluse” nella sua famiglia, che formò dopo la Seconda Guerra Mondiale sposando Nonna Scolastica (detta ‘Sterina), anche “Zà Amìn” (Annina Palazzese, moglie del compianto Franco) e la piccola Rosaria, nata nel 1938 e che quindi praticamente non aveva potuto conoscere il padre se non da neonata o molto piccola.
Furono anni duri, ma le famiglie andarono avanti. Nonno Giovanni chiamò Liliana la sua prima figlia (mia Mamma) e Franco, in onore del fratello, il suo secondogenito.
Rosaria, per Nonno Giovanni, è sempre stata come una figlia e l’ha cresciuta con lo stesso amore riservato sia ai componenti della propria famiglia sia, anni dopo e sempre insieme alla moglie ‘Sterina, ai nipoti Marilena ed Ennio, che vennero a stare a casa nostra negli anni in cui la loro famiglia era emigrata in Svizzera e non poteva tenere troppi figli per problemi di lavoro (ne avevano già altri).
Zia Rosaria sposò Giannino Matalucci, meccanico alla draga di Crisanti vicino il fiume Vomano, grande ballerino di balera con la zia e appassionato di velocità. Aveva un motoscafo poderoso con il quale mi portava quando ero molto piccolo e mai mancava, la domenica, sgommando su una delle sue macchine sportive (mi ricordo l’ultima: l’Alfa Romeo GTV) di venirci a visitare portandoci un vassoio di paste e pure – negli anni durissimi – qualche supporto tangibile.
Zia Rosaria ha avuto due figli: Franca e Marcello ma purtroppo ha perso presto, troppo presto, il caro Zio Giannino. “Zà Amìn” ebbe una lunga vita e ricordo la sua dolcezza, in quella famiglia matriarcale – dopo la morte di Zio Giannino – composta da lei che aveva perso il marito in guerra, sua figlia Rosaria e il cane Titti.
Zia Rosaria ha saputo essere un punto fermo di molte famiglie, avendo generato figli e poi avuto nipoti. Eccezionale lavoratrice, nella sua Scerne di Pineto ha avuto per anni una lavanderia che portava il suo nome.
È una delle persone a cui voglio molto bene, perché ha una forza eccezionale ed è stata sempre una donna d’azione. Una meravigliosa donna abruzzese, cresciuta sopportando due mancanze durissime come quella del padre e poi quella del marito.
Per questo non ho potuto trattenere le lacrime, festeggiando il suo ottantesimo compleanno.
Tè vùje bbèn, la Zì.
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