Uomini di Basket
MATTEO DEL PRINCIPIO: LA NBA, GLI HAWKS, BELINELLI E WILKINS...

Intervista al preparatore fisico, reduce da una bella esperienza negli Stati Uniti d’America.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 25 Febbraio 2018 - Ore 23:30
Ho conosciuto Matteo Del Principio diversi anni fa quando era un “bimbo”, giocava a basket con l’Atri e non aveva l’attuale profetica barba. Dopo un po’ l’ho visto sfrecciare in bicicletta, che faceva il triathlon e si preparava per l’Ironman. Dopo qualche anno l’ho rivisto a Roseto, come assistente del preparatore fisico Domenico Faragalli nello staff del Roseto Sharks 2016/2017. Stagione fantastica. L’ho incontrato di nuovo lo scorso mese di settembre, che era tempo di raccolta di olive, accompagnando il comune amico Brandon Sherrod a comprare olio extravergine di oliva, appunto. E in quella occasione Matteo ci disse che avrebbe fatto un viaggio in America con la sua fidanzata e che avrebbe voluto avvicinarsi al mondo NBA. Gli dissi che sarebbe stata una buona idea contattare coach Neven Spahija, vecchio amico di Roseto oltre che “allenatore del Roseto più forte di sempre” e Matteo mi rispose che ci stava lavorando con Robert Fultz (al quale diedi il numero di Neven, una volta tornato a Roseto). Nel salutarlo, gli dissi che se avesse fatto una qualche esperienza griffata NBA o comunque vicina al basket, oltreoceano, sarei stato felice di intervistarlo. L’esperienza c’è stata, questa di seguito è l’intervista.

Prima, però, qualche informazione. Matteo Del Principio – da pochi giorni preparatore fisico dell’Amatori Pescara in Serie B – è oggi un uomo di 31 anni, preparatore fisico specializzato nell’allenamento di piloti nel motociclismo di velocità che nel 2012, spinto dalla grande passione per le moto, ha realizzato un progetto di ricerca per la sua laurea specialistica in Scienze dell’Educazione Motoria, sul “Modello di prestazione del motociclismo di velocità”, volto a misurare e analizzare tutti gli elementi psicofisici che compongono la performance di un atleta sulla moto, di cui si conosceva ancora poco in letteratura scientifica. Lo studio ha portato dei risultati molto utili e ha fatto sì che l’allenamento specifico dei piloti diventasse il suo lavoro. Dopo le esperienze nel Campionato Italiano CIV, Mondiale Superbike e Moto Mondiale Moto GP nella categoria Moto3, Matteo Del Principio seguirà, nella prossima stagione sportiva, i motociclisti: Matteo Patacca (Campionato Mondiale RedBull Rookies Cup  e Campionato Europeo ETC con il Team Simoncelli Squadra Corse); Flavio Ferroni (Campionato Italiano Super Sport 600); Lorenzo Petrarca (Campionato Italiano Moto 3) e Mattia Falzone (Campionato Europeo ETC , Team Simoncelli Squadra Corse).

Ma torniamo al basket e all’esperienza oltreoceano di Matteo. Eccovi la chiacchierata.

Matteo, dopo la stagione indimenticabile con i playoff al Roseto Sharks, com’è che ti è venuta voglia di NBA?
«L’NBA è stata sempre il mio sogno, sono cresciuto a pane e videocassette sulla vita di Michael Jordan, quindi la voglia di NBA c’è sempre stata. Dal punto di vista professionale, dopo essermi formato tanto sul basket in Italia, avevo il desiderio di osservare da vicino la maggiore espressione del basket professionistico per capire le differenze metodologiche e pratiche sulla preparazione fisica e arricchire la mia esperienza professionale. Carico dopo una bella stagione a Roseto con uno staff tecnico e una squadra super, ho cercato di realizzare questo grande obiettivo».

Come ti sei organizzato, volendo seguire da vicino la lega professionistica americana?
«La mia idea era di riuscire a fare esperienza sul campo, direttamente con preparatori fisici, coach e staff tecnico. Gli Atlanta Hawks potevano essere la grande occasione e, grazie a Robert Fultz e Neven Spahija, ho avuto la possibilità di presentarmi al manager degli Hawks con curriculum, percorso formativo e professionale e, soprattutto, con la Certificazione Americana NSCA-CSCS, molto considerata nel mondo sportivo professionistico degli USA».

Quanto tempo sei stato negli USA e che giro hai fatto?
«Ho organizzato il mio viaggio in base al loro programma di allenamenti e gare, in modo da vivere ogni occasione. Sono stato negli USA per due settimane e ho avuto la possibilità di seguire gli allenamenti di preparazione fisica e tecnica presso l’Emory Healthcare di Atlanta. Poi ho assistito alla partita contro i Washington Wizards alla Philips Arena. Infine, mi sono concesso un giretto tra Georgia, Louisiana, Texas e New York, ma questo non c’entra con il basket».

In che modo hai seguito il lavoro dei tuoi colleghi?
«Durante gli allenamenti in palestra ho avuto la possibilità di partecipare al lavoro fisico al fianco di Keke Lyles, Executive director of players performance, e dei suoi assistenti, con i quali sono riuscito a parlare molto e scambiare diverse idee. Keke mi ha illustrato la loro programmazione e la metodologia di lavoro. È stato elettrizzante e molto utile osservare Marco Bellinelli e compagni allenarsi a un centimetro di distanza!».

Le differenze maggiori che hai potuto apprezzare fra Italia e NBA, quanto ad aspetti organizzativi?
«Il gap abissale sta nelle risorse e questo influenza moltissimo l’aspetto organizzativo. Loro, avendo a disposizione budget stellari, lavorano in strutture da sogno. Dovresti vedere il loro centro di allenamento: l’Emory Healthcare Sport Medicine Centre! Un campo di allenamento tirato a lucido con 6 canestri e, sempre all’interno, un televisore da almeno 80 pollici per fare video e provare immediatamente soluzioni tattiche. Poi una sala pesi di ultimissima generazione, piscina riscaldata da 25 metri all’esterno, cucine e chef solo per “la merenda da campioni”, spazi dedicati alla fisioterapia e sale stampa. Tutto ciò è solo un pezzettino della struttura. Aggiungi poi che ognuno dei tecnici dello staff ha almeno 3 assistenti per curare ogni dettaglio organizzativo ed esecutivo».

Le differenze maggiori che hai potuto apprezzare fra Italia e NBA, quanto a mentalità professionistica dei giocatori?
«In realtà, su questo punto non potrei sottolineare grosse differenze rispetto all’Italia. Dipende molto dal contesto che vivi, ma se dovessi confrontare gli Sharks dello scorso anno con gli Hawks ho trovato voglia di fare, energia e mentalità molto simili. Le grosse differenze applicative sono fortemente influenzate dalla scarsità di risorse in Italia, purtroppo. Diciamo che è leggermente più facile fare il professionista con i loro mezzi».

Le differenze sulla preparazione fisica, rispetto all’Italia?
«È difficile paragonare due realtà così diverse, sempre per quel divario di risorse, strutture e organizzazione del campionato. Già il fatto di giocare ogni 3 giorni in NBA impone una programmazione totalmente differente. A livello metodologico siamo molto simili, loro forse sposano ancora una filosofia basata più sulla forza, mentre noi sul funzionale. La grossa differenza, secondo me, va vista alla radice. Negli USA il sistema scolastico è incentrato sullo sport. I ragazzi arrivano al college con un bagaglio sportivo importante. Qui in Italia dovremmo ripartire da lì per eccellere nello sport professionistico. Su alcuni aspetti però non abbiamo nulla da  invidiare ai preparatori fisici NBA, anzi! La nostra preparazione in materia, la cura del dettaglio e il nostro perfezionismo sono molto apprezzati oltreoceano. Potremmo far bene ad altissimo livello, ovunque! In Italia, sotto il profilo della formazione viene fatto molto e questo è da riconoscere ai formatori della FIP, APFIP e a tutti gli enti del settore formazione di alto livello».

So che hai avuto incontri speciali con stelle del basket. Ci racconti qualche aneddoto?
«Si… che spettacolo! È incredibile con quanta facilità in quegli ambienti si incontrino persone che stimi da una vita o con le quali sei cresciuto guardandole in tv. Aneddoti? Marco Belinelli è stato sempre disponibilissimo: oltre a vederlo lavorare abbiamo parlato molto, a tal punto da dovergli ricordare che l’allenamento stava per cominciare. Grande persona! L’incontro con Dominique Wilkins è stato poi magico: arrivo all’ingresso del Philips Arena per la partita contro i Wizards e mi fermo per una foto sotto la statua a lui dedicata... dopo un minuto in adorazione entro sul campo, alzo la testa e c’è la sua maglia in alto, insieme alla altre della “Hall of Fame” degli Hawks. Il tempo di abbassare la testa e c’era lui in carne ed ossa! Dopo essermi accertato con uno steward che non fossero allucinazioni, l’ho raggiunto per chiedergli una foto insieme. La cosa più bella è che, invece di tirarsela, lui mi guarda sorpreso, come se fosse l’ultimo degli spettatori alla partita al quale fa strano che uno sconosciuto lo fermi per una foto. Accetta e, battendomi il pugno, mi dice anche “thanks”, lasciandomi un sorriso stampato in faccia per le tre ore successive. Umiltà da vendere!».

Hai ringraziamenti da fare, a chi eventualmente ti ha supportato e consentito di fare questa bella esperienza oltreoceano?
«Ci tengo tantissimo a ringraziare Robert Fultz (con lui ho un rapporto speciale, è stato molto più che un giocatore da allenare) e coach Neven Spahija, che mi hanno aiutato a realizzare questo sogno, creando un aggancio con gli Atlanta Hawks. Un altro ringraziamento particolare va a Domenico Faragalli, per la fiducia e il percorso di formazione al suo fianco. Ho avuto molti insegnanti che mi hanno spiegato come si solleva un po’ di ghisa, ma pochissimi maestri come lui che ti insegnano anche a vivere».

È stata solo una bella avventura, oppure questa tua esperienza è stato un seme che potrebbe… sbocciare in qualcosa di ulteriore?
«Keke Lyles mi ha proposto di tornare questa estate per partecipare alla preparazione fisica della squadra, durante la pre-season: la fase più importante del lavoro fisico per i professionisti NBA. Vedremo, io voglio rimanere con i piedi per terra. Magari sarà solo un’altra bellissima esperienza, o forse l’occasione della vita! Ho tanti progetti in cui credo molto anche qui in Italia che comunque andrà sarò felice».






Stampato il 11-23-2024 13:42:47 su www.roseto.com