Ogni articolo che si rispetti non dovrebbe mai partire con una domanda, ma concedetemi per questa volta una licenza. Se avessimo davanti ai nostri occhi un planisfero politico e dovessimo pensare ad un anno della storia recente nel quale sono accaduti diversi fenomeni memorabili e distribuiti su tutto il globo, su quale periodo ricadrebbe la vostra scelta?
Pur non avendone la certezza assoluta, so perfettamente che la maggior parte di noi abbia pensato al 1968. I latini coniarono un’espressione con la quale indicare un insieme di eventi deprecabili e luttuosi accaduti nell’arco di poco tempo: annus horribilis. E di anno “orribile” possiamo parlare in merito al 1968.
La scena politica internazionale stava vivendo una delle fasi più critiche dal secondo dopo guerra. Mentre negli Stati Uniti, chiamati a fare i conti con la dilagante protesta antirazziale, venne messo a tacere definitivamente Martin Luther King, il continente africano attraversava una carestia in Biafra davvero devastante con migliaia di morti per fame.
Tornando a questioni più vicine a noi, il 1968 fu anche l’anno della celebre “Primavera di Praga” con la quale il riformista slovacco Alexander Dubček provò a liberare la Cecoslovacchia dalla dominazione sovietica, salvo fallire miseramente dopo pochi mesi (ad agosto gli alleati del Patto di Varsavia invasero il Paese). Ma, più in generale, la fine degli Anni ’60 si ricorda anche per le proteste giovanili, per il “maggio francese” e per la strenua lotta al capitalismo promossa da diversi movimenti.
Bisogna tenere conto di tutto quest’antefatto per comprendere alcune dinamiche iconiche dei Giochi olimpici del 1968. Il CIO affidò l’organizzazione a Città del Messico. La scelta della capitale messicana provocò non poche polemiche dovute all’altitudine della città, sicuramente poco ospitale per gli atleti non abituati a un’aria così rarefatta. Non fu la prima e non sarebbe stata l’ultima volta in cui la scelta del Comitato Olimpico Internazionale lasciava scontento qualche Paese. Ma fu la prima volta in cui le Olimpiadi si aprirono con un bagno di sangue. L’estate ’68 in Messico fu più calda del solito a causa dell’inquietudine politica generata dalle continue e ripetute proteste studentesche in linea con il resto del mondo.
La vetrina offerta dai Giochi spinse migliaia di studenti a protestare contro il presidente Gustavo Diaz Ordaz e le ingenti spese fatte per consentire a Città del Messico di disputare le Olimpiadi, a danno delle esigenze primarie dei messicani. Pochi giorni prima della cerimonia d’apertura, il 2 ottobre, circa 5.000 studenti si ritrovarono presso Piazza delle Tre Culture di Tlatelolco per un sit-in. Sebbene non si seppe mai se l’ordine venne impartito direttamente da Ordaz, l’esercito aprì il fuoco sulla folla provocando centinaia di morti e altrettanti feriti (tra i quali la giornalista Oriana Fallaci presente sul posto per seguire le proteste e colpita da tre proiettili). Il “massacro di Tlatelolco” ebbe un’eco straordinaria raggiungendo i quattro angoli del mondo in poche ore. Molti Paesi protestarono con il CIO, presieduto dal conservatore americano Avery Brundage (lo stesso che trovò un “accordo” con Hitler per la partecipazione degli USA a Berlino ’36), ma non ottennero quanto sperato. Il 12 ottobre 1968 iniziarono i Giochi.
Evidentemente il villaggio olimpico di Città del Messico era avvolto da queste soffocante pressione non dovuta all’altitudine bensì all’atmosfera politica così complessa. E gli atleti non persero l’occasione per dire la propria sfruttando la ribalta della manifestazione. Le Olimpiadi del 1968 furono una questione politica allo stato puro, con alcune proteste passate alla storia.
La più celebre fu quella promossa, durante la cerimonia di premiazione dei 200 metri piani, da parte della coppia statunitense Tommie Smith e John Carlos che sollevarono il pugno chiuso con un guanto nero in segno di protesta contro il razzismo, emulando le Black Panthers (movimento contro la segregazione razziale). La cosa più stupefacente è che i due corridori americani vennero affiancati nella protesta dal secondo classificato, l’australiano Peter Norman, il quale, solidarizzando con la causa nera, decise di indossare la spilla del Progetto per i Diritti Umani.
Lo stadio ammutolì vedendo quel forte gesto dell’australiano bianco al fianco degli afro-americani contro il razzismo dilagante. Smith e Carlos vennero puniti severamente per aver portato la politica nello sport. Quel gesto costò loro il ritiro delle medaglie, la sospensione dalla squadra statunitense con effetto immediato e l’esclusione a vita dai Giochi mentre Norman venne accusato di cospirazione e, tornato in patria, solo per aver mostrato sostegno alla comunità nera, fu costretto ad abbandonare l’atletica e fece fatica a trovare lavoro. Quando nel 2012 venne a mancare per un attacco cardiaco, il suo feretro venne trasportato dagli ex colleghi Smith e Carlos come tributo per la scelta difficile presa da lui a Città del Messico.
Un gesto simile a quello dei due atleti afro-americani avrà come protagonista la ginnasta ceca Věra Čáslavská. Trovandosi sul podio più alto al fianco della collega sovietica Larisa Petrik, si rifiutò di guardare la bandiera dell’URSS e di ascoltarne l’inno in protesta a causa dell’invasione della sua Cecoslovacchia. Inutile dire che anche lei venne punita per la sua esposizione politica con il ritiro immediato dalle competizioni. Tornata in patria, Vera fu posta sotto indagine e chiamata a scusarsi. Declinando l’offerta, ottenne il veto per continuare nel mondo della ginnastica, anche come istruttrice, sia in Cecoslovacchia sia all’estero.
Che dire! Le Olimpiadi messicane ci lasciano l’immagine di atleti che, prima di essere tali, mostrano la loro umanità anteponendo al successo sportivo un ideale per il quale spendere tutta la propria vita. Anche al costo della carriera. Ecco il senso più profondo della rivoluzione del 1968!
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Emanuele Di Nardo
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