Olimpiadi: storie di soprusi e rivalse.
MONACO 1972: IL TERRORISMO E LA FINALE DI PALLACANESTRO PIÙ CONTROVERSA DELLA STORIA!

Saltano le Olimpiadi di Tokyo? Niente paura, c’è Emanuele Di Nardo con le sue ‘storie a cinque cerchi’. Puntata 06.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 30 Luglio 2020 - Ore 11:15

Che il mondo fosse spaccato in due blocchi era ormai evidente. Già le precedenti manifestazioni olimpiche avevano messo in luce gli intricati equilibri politici tra i vari Paesi partecipanti (o volutamente assenti). Ma furono le Olimpiadi di Monaco 1972 a mostrare definitivamente l’immagine più cruda e, per certi versi, spietata della Guerra Fredda. In modo particolare ci fu un evento sportivo che catalizzò l’attenzione generale e che lasciò un segno indelebile sui Giochi tedeschi: la finale di pallacanestro maschile del 9 settembre 1972. A contendersi la medaglia d’oro scesero sul parquet della Rudi-Sedlmayer-Halle di Monaco di Baviera, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America.

Prima di parlare della suddetta finale, occorre fare un doveroso passo indietro. In effetti, pochi giorni prima di quella partita (5 settembre), la relativa pace del villaggio olimpico venne turbata irrimediabilmente da otto membri di Settembre nero (movimento affiliato all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat) che fecero irruzione nel villaggio, occupando la palazzina riservata agli atleti israeliani. Questo agguato costò subito la vita a due di loro: Moshe Weinberg (allenatore di lotta greco-romana) e Yossef Romano. Poi i terroristi ne sequestrarono altri nove ed iniziarono una trattativa con le autorità competenti al fine di liberare i propri ostaggi in cambio del rilascio immediato di 234 palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane e di due terroristi tedeschi. Avrebbero, inoltre, preteso anche tre aerei con i quali lasciare in totale sicurezza la Germania. La trattativa fu lunga ed estenuante e, sebbene il primo ministro israeliano Golda Meir si oppose ad essa, l’intelligence tedesca decise di non mettere a rischio la vita di altri atleti, cercando di assecondare le richieste dei terroristi. L’aspetto sconvolgente fu che la notizia del sequestro ormai aveva raggiunto il mondo intero ma, nonostante questo, il programma delle Olimpiadi non subì interruzioni.

Il sequestro cominciò alle 4 del mattino e si concluse tristemente alle 23:30. Dopo aver fallito il blitz con il quale porre fine al braccio di ferro, la polizia tedesca ed i terroristi palestinesi ingaggiarono un prolungato scontro a fuoco che provocò la morte dei restanti nove atleti israeliani sequestrati, di cinque terroristi e di un agente di polizia. Gli altri tre sequestratori vennero arrestati nell’immediato. Le Olimpiadi si fermarono il giorno seguente per commemorare i defunti con una cerimonia solenne ma non vennero interrotte, provocando una forte indignazione negli addetti ai lavori e nell’opinione pubblica. È facile da immaginare quale fosse il clima nel quale ripartì la competizione.

Torniamo allora alla nostra finale olimpica. Come detto, non si affrontavano semplicemente due squadre o due Paesi bensì due blocchi che avevano congelato le dinamiche socio-politiche di tutto il mondo. L’Unione Sovietica giungeva a Monaco come la regina incontrastata d’Europa avendo conquistato otto europei consecutivi dal 1957 al 1971 ai quali si aggiungevano quattro argenti olimpici (1952, 1956, 1960, 1964), un bronzo a Città del Messico 1968 ma soprattutto l’oro ai mondiali del 1967 (la prima squadra europea a salire sul tetto del mondo). Dall’altra parte gli Stati Uniti, sebbene non portassero alle Olimpiadi i propri professionisti (bisognerà attendere Barcellona ’92 con il Dream Team), tuttavia erano pur sempre i favoriti e, dopo aver vinto l’oro nelle precedenti sette competizioni olimpiche, si presentarono alla finale con il record di 63-0 nei Giochi.

L’URSS eluse i controlli del CIO che vietavano la presenza di atleti professionisti classificando i propri migliori giocatori come soldati o lavoratori, facendoli risultare dilettanti. Si comprende quale fosse lo spirito e quanto fosse importante per i sovietici battere i campioni in carica. La partita fu in sostanziale equilibrio per tutto l’arco dei quaranta minuti. Ma furono gli ultimi tre secondi a renderla “la partita più controversa nella storia internazionale del basket”. I sovietici, in vantaggio di un punto, mandarono in lunetta il mortifero Doug Collins il quale mise dentro entrambi i liberi. Eppure, mentre l’americano lasciava andare il suo secondo tiro, arrivò un fischio dal tavolo. L’arbitro brasiliano Renato Righetto non riuscì a fermare il gioco e gli Stati Uniti si portarono in vantaggio (50-49). Da quel momento sarebbe iniziata la partita nella partita.

Il vice allenatore Sergei Bashkin asserì che l’head coach Vladimir Kondrashin aveva richiesto un time out prima del secondo tiro libero ma che non gli era stato concesso. Allora i sovietici cercarono di rimettere immediatamente il pallone in campo ma persero il possesso. Gli USA si lasciarono andare ai festeggiamenti mentre alcuni tifosi invasero il parquet. Era tutt’altro che finita! Kondrashin si era sbracciato per richiedere il tanto agognato time-out e Righetto se ne accorse giusto in tempo convalidando la richiesta dei sovietici quando mancava solo un secondo sul cronometro. Ripartirono le proteste perché il cronometro sarebbe dovuto essere ristabilito a tre secondi. Gli arbitri faticavano a trovare la quadratura del cerchio anche perché la sirena suonata durante il secondo libero di Collins avrebbe potuto significare l’ok del tavolo al time-out sovietico. Fatto sta che intervenne a sbrogliare la questione il segretario generale della FIBA Renato Williams Jones ammettendo l’errore degli ufficiali di campo che non comunicarono in tempo agli arbitri il time-out chiesto da Kondrashin.

Fatto sgomberare il parquet, subito dopo la rimessa suonò nuovamente la sirena che fece esplodere la seconda festa statunitense ma era passato solo un secondo mentre il cronometro sarebbe dovuto essere ristabilito a tre secondi. Una nuova ondata di feroci proteste scoppiò in campo. Dopo aver faticato a ristabilire l’ordine, gli ufficiali acconsentirono ad una nuova rimessa in mano dei sovietici che questa volta, con un lampo di genio, fecero il classico “lancio lungo” con la palla a spicchi che volteggiò in aria e si depositò sulle mani dell’esperto Alexander Belov il quale, con un facile sottomano, segnò il canestro della vittoria (51-50)!

Gli Stati Uniti vennero battuti per la prima volta in finale ed il gusto amaro di una sconfitta (a parer loro immeritata) fu così forte che, oltre a non prendere parte alla cerimonia finale sul podio (tra l’altro molto comunista con la presenza al terzo posto di Cuba!), si rifiutarono di ritirare la medaglia d’argento, ancora conservata nel caveau del CIO. Addirittura Kenny Davis arrivò al punto di mettere una clausola nel suo testamento che proibiva a moglie, figli o discendenti di accettare la medaglia d'argento dopo la sua morte!

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Emanuele Di Nardo
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