Questa rubrica ci sta tenendo compagnia da qualche settimana ormai, facendoci scoprire o confermandoci, a seconda dei casi, quanto e in che modo le dinamiche politico-diplomatiche tra i due blocchi siano state determinanti all’interno di quelle sportive.
Certamente le tensioni sociali di Città del Messico ’68 o di Monaco ’72 hanno dato prova del legame profondo tra la politica e le Olimpiadi, quasi nocivo. Ma concedetemi di dire che il proposito decoubertiano di promuovere la pace e l’integrazione tra vari Paesi attraverso lo sport si sia tragicamente infranto in occasione di Mosca 1980, le “Olimpiadi del boicottaggio americano”. L’armonia artistica dei famosi cinque cerchi olimpici lasciò spazio ad una figura deforme e mutila, irriconoscibile.
È vero che il boicottaggio sistematico fece la sua prima comparsa quattro anni prima (Montreal 1976) con l’assenza di 27 Paesi africani in protesta contro la Nuova Zelanda, colpevole di essersi recata in Sudafrica con gli “All Blacks” per partecipare ad alcune manifestazioni sportive. Il rugby non era disciplina olimpica e, sebbene il Sudafrica fosse stato escluso diverse volte dai Giochi a causa dell’Apartheid, il CIO non prese una posizione nell’alterco. Ma la mancata partecipazione del continente africano sembrò nulla rispetto a ciò che sarebbe accaduto in terra sovietica.
Nel dicembre 1979 l’Afghanistan visse attimi concitati a causa di una violenta rivolta musulmana. Il governo afghano allora si rivolse all’URSS chiedendo un sostegno militare per ristabilire il controllo ma, dietro quella missione di pace, si celò una vera e propria invasione sovietica, con 70.000 soldati dell’Armata Rossa impiegati in azione. Il bilancio della manovra militare ancora oggi lascia inorriditi: un milione e mezzo di morti, tre milioni di feriti e cinque milioni di profughi.
In seguito all’instaurazione di un governo fantoccio filo-sovietico, l’ONU non tardò ad intervenire condannando categoricamente l’operato di Mosca. Il presidente americano Jimmy Carter, dopo aver promosso un pesante embargo, tentò la carta dei Giochi per mettere in scacco matto i sovietici: se l’URSS non avesse ritirato le proprie truppe dall’Afghanistan, gli atleti americani non avrebbero partecipato a Mosca 1980.
Sebbene la minaccia all’inizio sembrasse quasi surreale, in realtà si concretizzò in una scelta netta: il blocco occidentale non prese parte ai Giochi del 1980 aprendo una crepa profonda nella storia delle Olimpiadi. Ben 65 Paesi accolsero la richiesta statunitense di disertare mentre molte altre nazioni, pur partecipando, decisero di rinunciare alla propria bandiera, sostituita da quella del Comitato Olimpico.
Tra quest’ultime ricordiamo l’Italia, capace lo stesso di lasciare un segno nel medagliere olimpico moscovita con un’impresa epica.
Il quinto posto ottenuto quattro anni prima a Montreal generò non poche polemiche verso il CT Giancarlo Primo, comunque riconfermato dalla Federazione sulla panchina azzurra. In realtà altri risultati deludenti, specie il quarto posto agli Europei di Liegi ’77 e ai Mondiali di Manila ’78, indussero i vertici federali ad affidare la guida tecnica a Sandro Gamba.
Ottenuto il pass nel Preolimpico di Varna, la formazione italiana giunse a Mosca certamente priva del favore dei pronostici. Ma l’Italia ha sempre dimostrato, in qualsiasi disciplina, di dare fondo a tutte le proprie risorse nei momenti decisivi. E le Olimpiadi sovietiche lo confermarono!
Dopo aver battuto la Svezia (92-77) e Cuba (79-72) con la sconfitta intermedia con l’Australia (77-84), arrivò il primo pesante stop contro la corazzata jugoslava (102-81), guidata dalla coppia mortifera Kicanovic-Dalipagic. Ma qui Meneghin & co scrissero una pagina gloriosa della pallacanestro italiana. Il tabellone chiama l’Italia ad affrontare i padroni di casa dell’URSS, una delle principali favorite all’oro sia per il fattore campo sia per la presenza di diversi elementi della squadra che trionfò a Monaco 1972 contro gli USA.
I sovietici credevano di avere vita facile, potendo contare sull’esperienza e la classe di Sergei Belov e sul fisico granitico di Vladimir Tkatchenko, pivot di 220 cm. Ma la nazionale azzurra non si lasciò intimorire e condusse una gara che rasentò la perfezione. Mentre l’immenso Meneghin tenne a bada il centro sovietico, pericolo numero uno per le difese avversarie, l’attuale CT italiano Meo Sacchetti si stampò addosso a Belov costringendolo a diversi errori.
In un Paese che pregustava la vittoria finale, data l’assenza pesante degli Stati Uniti, gli italiani fecero l’impresa di battere i padroni di casa (87-85). Si sa che una partita dura a livello psico-fisico possa svuotarti e, poche ore dopo i festeggiamenti, arriva la cocente sconfitta contro il Brasile (90-77) ad opera di un sontuoso Oscar (33 punti). Ma il contraccolpo della sconfitta contro la nazionale di Gamba fu talmente devastante per l’URSS che venne battuta anche dalla Jugoslavia, garantendo all’Italia l’accesso alle finali.
Battuta la Spagna (95-89), Brunamonti e compagni arrivarono a giocarsi un incredibile oro olimpico contro i mostri sacri della Jugoslavia che, ahinoi, ne ebbero semplicemente di più (86-77). Gli italiani, partiti come meteore, conquistarono l’argento olimpico con Renato Villalta sublime (19.4 ppg con 29 punti in finale).
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Emanuele Di Nardo
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