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LUCREZIO VS SENECA

Un frammento del delizioso libro ‘Quando la vita ti viene a trovare’ di Ivano Dionigi.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 21 Agosto 2024 - Ore 12:45

[Estratto da pagine 81, 82, 83.]

SENECA – Parlami di queste parole nuove.

LUCREZIO – Semplice per chi vuole intendere.
Le parole e le cose si formano dai principi primi [elementa]: atomi per le cose, lettere per le parole. Come i medesimi atomi costituiscono [constituunt] il cielo, il mare, le terre, i fiumi, il sole, le messi, gli alberi, i viventi, allo stesso modo le medesime lettere formano le parole [significant] cielo mare, terre, fiumi, sole, messi, alberi viventi. Chiaro, no?
Non solo. Le leggi che regolano gli atomi e formano l’universo sono le stesse della grammatica: combinazione, movimento, ordine, posizione, forme (con cursus motus ordo positura figurae]. Per questo il piano degli atomi e il piano delle lettere, della lingua e della fisica, del testo e del cosmo si incrociano, si scambiano e si identificano. Se il modello è alfabetico e se all’inizio è la grammatica, il cosmo è leggibile.
Nella mia scrittura nulla c’è di soggettivo e interiore, tutto è sguardo sul reale e affidamento alla parola, la protagonista del poema: essa non narra, non interiorizza, non allude, ma si impone, immediatamente, come gli oggetti.
Una parola basilare come l’atomo, univoca come la cosa.
Una collezione di minerali sarebbe il più bel commento ai miei versi.
Guai a chi non rifugge dalla sfera personale e non si eclissa nel testo.

SENECA – Ma le parole accompagnano il pensiero, ne sono segno e veicolo.

LUCREZIO – No, Seneca, la parola non serve il pensiero, ma lo genera.
Parlano la stessa lingua la natura e la poesia; obbediscono alla stessa grammatica le parole nel loro divenire e gli atomi nel loro combinarsi.
Il piano fisico e il piano linguistico, il cosmo e il testo, l’atomologia e l’etimologia si specchiano.
Io ho squadernato l’universo.

SENECA – La tua poesia non è certo passata inosservata: Cicerone ti ha definito talentuoso, altri sublime, altri colto ed elegante, altri ancora risonante e gagliardo.

LUCREZIO – Quanti si sono fermati allo stile e hanno separato le parole [verba] dal contenuto [res], non hanno capito nulla, sedotti e ingannati da ciò che è travestimento e gioco allegorico: sì, dalle parole invertite [inversa verba] e dalle sirene del suono [lepidus sonor].
L’uso proprio della parola [nomen proprium] è l’unico che trasmette chiarezza [enárgeia] e immediatezza [saphnéneia].
L’allegoria è un crimine contro la parola. Chiamare Nettuno il mare, Cerere il raccolto, Bacco il vino è un’aberrazione.
Se togli la maschera, le cose appaiono in tuta la loro evidenza. La verità è un’operazione di sottrazione, non di cumulo.
Anziché adeguarci alle mode, dobbiamo recuperare le forme originarie della nostra lingua; è all’inizio che si manifestano i veri significati delle parole. Parole, non vocaboli: quelle forme originarie [prisca verba] che tu, Seneca, disprezzi rivelando in questo tutta la tua origine provinciale. Ennio, il padre della nostra lingua, che tu non persi occasione di criticare, da solo vale più di tutti quelli che sono venuti dopo.

Ivano Dionigi
QUANDO LA VITA TI VIENE A TROVARE
Lucrezio, Seneca E noi

Laterza – 2018 – Pagine 125 – Euro 10 (edizione economica del 2020)

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