L’immenso ciclista (il 15 settembre 105 anni dalla nascita), il grandissimo giornalista (oggi 105 anni dalla nascita) e il colonnello Aldo Anastasi corrispondente da Roseto. Un bellissimo scritto di Mario Giunco, da Eidos del 2019.
Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 08 Settembre 2024 - Ore 12:30
Settembre 1919. Fausto Coppi e Gianni Brera nascono a distanza di una settimana, in paesi vicini, ma in regioni diverse, Piemonte e Lombardia (Castellania, che oggi non arriva a cento abitanti e San Zenone al Po, che ne conta poco più di cinquecento).
Le famiglie erano dignitosamente povere, ma non “miserabili”.
“Quando spunta il sole dietro il costone di Sant’Aloisio, i pochi sparuti abitanti di Castellania vedono illuminarsi prima i torrioni sbrecciati del castello, poi, quasi di botto, la piccola valle divisa dal Rio. La terra è taccagna di argille che il sole estivo dissemina di crepe e le piogge invernali ammollano in fango spesso e tenace. Il Rio è uno stento fossatello che arriva serpeggiando alla Scrivia: il suo letto angusto e ineguale è cosparso di massi erratici levigati dai millenni. Le rive sono popolate di roveri, olmi e ontani che formano duplice filare a dividere la valle”.
Sembra la pagina di un narratore dell’Ottocento, che strizza l’occhio ai poeti dell’epoca. Inizia così il racconto della vita di Fausto Coppi, che Gianni Brera pubblica solo nel 1981, con il titolo ammiccante e un po’ misterioso: “Coppi e il Diavolo. Un romanzo”.
Se tutti sanno del campionissimo, delle sue leggendarie imprese (da professionista, 144 vittorie su strada – come Bartali – e 88 in pista) e della sua fine sfortunata (2 gennaio 1960), il suo biografo è forse meno conosciuto.
Gianni Brera (scomparso nel 1992, in un incidente d’auto) è stato uno dei grandi del giornalismo italiano, reso popolare anche dalle tv private e dalla “Domenica sportiva”. I meno giovani ricordano la rivista “Guerin sportivo” e le famose rubriche breriane: “La bocca del leone” (posta con i lettori) e “L’Arcimatto” (argomento libero).
Per inciso, corrispondente da Roseto per il basket era il “colonnello” Aldo Anastasi, che si firmava “Aldo Astasi”.
Di cultura sterminata, Brera aveva paragonato un verso di Leopardi (“Dolce e chiara è la notte e senza vento”) alla “danza armoniosa di Pelé con la palla al piede”.
Divenne direttore della “Gazzetta dello sport” nel 1949, nello stesso anno in cui Coppi vinceva il Tour de France, che aveva seguito come inviato. Ma non era questo il solo elemento che li univa. Entrambi erano di umili origini. Entrambi avevano perso un familiare (Fausto il fratello Serse, ciclista; Gianni, il figlioletto Franco).
E di questa consonanza di sentimenti c’è più di una traccia nella biografia di Coppi, che è propriamente un’autobiografia, nel senso che è stata raccolta direttamente dalla bocca del campione, anche durante viaggi in macchina (Brera guidava con proverbiale lentezza la sua 1100 Fiat, ribattezzata “Fiordiligi”).
Brera ci ha messo di suo la letteratura. Ecco perché il racconto si apre a inattesi scorci lirici, tanto diversi dalla descrizione dei trionfi del campione. Quasi un segno del destino, parola che spesso risuona nella narrazione.
“Fausto andava sovente a nidi nel bosco di Sant’Agata Fossili e spiava i rivali in cerca lungo il Rio. Smise di toglier via i piccoli quando gli svolazzò dietro una merla squittendo come piangesse, disperata. Se ne scappò come un ladro e sentì stringersi il cuore. Prima, aveva allevato con fortuna fringuelli e verdoni. Sul melo più alto dell’orto nidificava ogni anno una coppia di cardellini. Non appena i loro piccoli mettevano le piume, i ragazzi salivano a rinchiuderli in una gabbia. La mamma li nutriva traverso le sottili sbarrette di legno: poi se ne stava a gemere desolata. Usciti dal nido i piccoli incominciavano a beccottare: allora la madre, per non lasciarli schiavi, gli portava per cibo la velenosa cicuta. Avesse letto un po’ più di libri , forse Fausto avrebbe subito afferrato quella lezione tremenda: ma cos’era un cardellino color rosso, nero e oro nella sua vita selvaggia, a Castellania? Cresceva magro e spiritato, seguendo gli istinti”.
In una lettera aperta del 1959, che ha il tono dell’addio, Brera esterna la sua riconoscenza al campione, ormai al declino: “Caro Faustin (questo è il tuo secondo nome contadino; quando tu sei nato, dalle pareti della camera di tua madre pendevano a mazzi le pannocchie di granturco), io ti debbo infinita gratitudine. Se tu non fossi andato oltre la salumeria, in cui ti misero, per non scavezzarti sui solchi, il mio destino di cronista sarebbe stato ancora più insignificante. Ad ogni pasto, vivessimo in tempi meno disincantati, dovrei raccomandare ai miei figli di ricordarti nelle loro preghiere: tu sei stato e sei per i cronisti quello che Sherlock Holmes per Conan Doyle, quello che l’ispettore Maigret per Simenon. Ho vissuto per te giornate indimenticabili; ho scritto su di te infinite colonne di giornale e di rivista. Per molti anni sei stato l’eroe, muscolare ma vero, d’un Paese che quasi sempre è stato costretto a inventare gli eroi. Mulinando una pedaliera hai inciso sul costume di un popolo. Hai esasperato il tuo mestiere fino ad estendere paurosamente i limiti della fatica umana. Non ti giudico, Faustin. Mi sforzo di accettarti come sei. E questo è semmai il punto. Come sei veramente, amico mio? Io mi picco di conoscerti come pochi. Vivendo con te e parlando di te e di tutti per anni – traverso le diverse vicende della vita – io mi sono convinto del tuo carattere essenzialmente tragico. Non vorrei che tu pensassi a cose grossissime. Tragico può essere tanto Don Chisciotte quanto Sancho Panza. Ti debbo molta riconoscenza, veramente, e ti voglio anche bene. Sei, di volta in volta, il mio Don Chisciotte e il mio Panza. In questa vita, tutto si paga, anche il più poetico dei baci. Abbi dunque fortuna, Faustin, campionissimo del mio paese. Abbi fortuna e felicità, se appena te lo consente il destino. Qualche volta, a pensarti, provo paura”.
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