PARLARSI, LA VERA CURA
Solitudine, depressione, incomunicabilità.
Sotto la lente di uno dei grandi della psichiatria, Eugenio Borgna
Ascoltare Eugenio Borgna è una esperienza unica e sempre diversa. Il suo linguaggio, denso e allusivo, ricco di risonanze poetiche, colpisce per la sua profondità.
Nel 2011 vinse il premio di saggistica “Città delle rose” con “La solitudine dell’anima” (Ed. Feltrinelli, 2011).
Nella sua “prolusione” incantò letteralmente l’uditorio. Eppure parlava della solitudine come condizione ineliminabile – ma non sterile e improduttiva – dalla vita. In essa si riflettono “desideri di contemplazione, di tristezza e di angoscia, di silenzio e di preghiera, di attesa e di speranza”. Il libro si apre con la dedica “Ricordando anni lontani e felici”, cui seguono due versi di Emily Dickinson: “Forse sarei più sola / senza la mia solitudine”.
Borgna: “La solitudine si nutre di infanzia e di memoria, di luci e di ombre, di desiderio e di grazia, negli orizzonti di una vertiginosa discesa nella propria interiorità. La solitudine è un abisso che si spalanca dinanzi a noi, risucchiandoci e affascinandoci con i suoi insondabili sortilegi, è il nostro ‘destino’ anche quando non ne abbiamo coscienza”.
Leopardi, citato da Borgna: “L’uomo disingannato, stanco, esperto, esaurito di tutti i desiderii, nella solitudine appoco appoco si rifà, ricupera se stesso, ripiglia quasi carne e lena, e più o meno vivamente, a ogni modo risorge”.
La solitudine perde la sua connotazione esclusivamente negativa. Come la depressione, nel volume “Elogio della depressione” (Ed. Einaudi, 2011), scritto con il sociologo Aldo Bonomi.
Le ferite inferte dalla depressione, la fragilità, la malattia indicano i valori che danno un senso all’esistenza.
Al contrario dell’indifferenza: “L’indifferenza è davvero la malattia più crudele e inesorabile della vita psichica, e in essa siamo prigionieri di un deserto della speranza che non consente alcuna reale comunicazione, alcuna sincera relazione, con il mondo delle persone e delle cose. Nella indifferenza siamo immersi in una solitudine arida e pietrificata, che nulla ha a che fare con la solitudine interiore, con la solitudine creatrice, e che diviene isolamento”.
Il terzo volume, di cui diamo qualche fugace cenno – perché i libri di Borgna non si possono “raccontare”, bisogna confrontarcisi, immergercisi, lasciarsi guidare da essi – è “Parlarsi. La comunicazione perduta” (Ed. Einaudi, 2015).
Vi sono esperienze radicate nella vita, come la tristezza, la sofferenza, la felicità, la solitudine, la tenerezza, il desiderio di comunità, la speranza, la malattia, che ci avvicinano alle “sorgenti profonde” della condizione umana. Come si può entrare in comunicazione con ciascuna di queste esperienze? Solo con il dialogo e la relazione. Noi comunichiamo con gli altri in modo tanto più intenso e terapeutico, quante più emozioni siamo in grado di provare e vivere.
La sofferenza psichica, in particolare, è compromissione o perdita della comunicazione. La cura è la disperata ricerca di parole, di gesti, di testimonianze umane, che consentano alla comunicazione di rinascere.
I libri di Borgna non sono per “iniziati”. Il lettore comune potrà trarvi giovamento, folgorato da barlumi e frammenti, che alla fine si ricompongono, come in un mosaico. Un esempio. La famiglia, spesso luogo dell’incomunicabilità: “Non si parla molto, oggi, in famiglia e in società: non si ha molto tempo, per parlare e per ascoltare le cose che ci stanno magari a cuore… ma le chiacchiere, le conversazioni mondane, non danno un senso alle giornate e alle stagioni della vita; scorrono veloci e inafferrabili, inconsistenti e intermittenti, liquide e acquatiche, mai in profondità e sempre in superficie; non lasciano tracce nella memoria vissuta che non ha nemmeno il tempo di trattenerle e di rielaborarle, di farle proprie e di archiviarle”.
Parlarsi è sempre meglio. Chissà se qualcuno non apra le orecchie…