Intervista a Paolo Moretti: 4 stagioni in panchina, 4 obiettivi centrati.
Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 10 Aprile 2007 - Ore 12:30
Paolo Moretti – Paolino per il basket – ce l’ha fatta ancora una volta. La vittoria casalinga – nell’ultimo turno di LegaDue giocato – contro il Fabriano di coach Demis Cavina, ha assicurato la salvezza matematica alla sua Viola Reggio Calabria.
Per Paolino si tratta del quarto obiettivo centrato in quattro stagioni da capo allenatore. Partì con la B2 di Catanzaro, rilevata in corsa, e fu salvezza. La stagione successiva, B1 ad Ancona e furono playoff promozione; prima volta per la storica società della Stamura. La scorsa stagione il salto doppio, grazie alla chiamata di Claudio Crippa, che lo volle a Livorno. Salvezza tranquilla e colpaccio in casa di Treviso – che avrebbe poi vinto lo Scudetto – a coronare una bella stagione. Quest’anno, LegaDue a Reggio Calabria con l’obiettivo della salvezza. E salvezza è stata.
Niente male per uno che è stato un grande giocatore, un vincente, che una malattia ha messo fuori dal basket giocato, traghettandolo in quello da allenare.
E se è vero che Reggio Calabria ha speso meno di 500.000 Euro per il budget dei propri giocatori, allora – pensando a quanto hanno speso le squadre che non ce l’hanno fatta a salvarsi – davvero viene da fare grandi complimenti a Paolino.
Lo abbiamo intervistato a Pasqua, approfittando del suo passaggio a Roseto degli Abruzzi.
Paolino … Catanzaro, Ancona, Livorno, Reggio Calabria. Con la tua ultima “missione compiuta” sullo Stretto siamo ad un bel 4 su 4 che manco quando giocavi ed eri in forma …
“Eh già, bella statistica, vero? Sono state tutte esperienze interessanti. Intanto ho toccato tutte le serie e posso vantarmi di aver allenato, in 4 stagioni: B2, B1, A1 e LegaDue. Devo dirti che è una bella soddisfazione, oltre che un grande bagaglio di esperienza nelle mie prime 4 stagioni da allenatore. E poi il fatto che ogni anno ho raggiunto l’obiettivo mi riempie di orgoglio, perché ho sempre avuto stagioni delicate e difficili. Quest’anno poi, essere riusciti, tutti insieme, a conservare la LegaDue in un posto di grande tradizione come Reggio Calabria è una cosa che mi riempie enormemente di orgoglio.”
Dalla B2 alla Serie A, quali sono – se ce ne sono – le cose che ricorrono nelle tue esperienze di coach finora?
“Direi che il comune denominatore è l’approccio che uno mette nell’affrontare il proprio lavoro e la propria stagione e cioè dare sempre il massimo. Non conta la categoria o la serie: bisogna sempre dare il massimo. Poi è chiaro che le motivazioni possono essere differenti, ma se vuoi sempre fare bene a prescindere dal livello, la prima cosa è l’approccio. Il secondo aspetto per un coach, secondo me, è che il livello tecnico e umano cambia sempre e, di conseguenza, la gestione sia tecnica che umana delle risorse deve essere capillare e anche calibrata, adeguata e adattata. Quindi, più che adeguare la squadra e i giocatori al proprio credo, in base a concetti fondamentali, adattarsi a chi ti trovi in squadra.”
Quindi sei più per Bearzot che per Sacchi: adeguarsi al materiale umano a disposizione e agli avversari, piuttosto che imporre sempre e comunque il proprio modulo. Giusto?
“Beh, se avessi avuto la possibilità di lavorare 5 anni in una società avendo a disposizione i giocatori che voglio io, magari le cose sarebbero diverse, ma siccome in 4 stagioni le squadre sono state figlie del mercato e delle attese, ho dovuto fare di necessità virtù. Faccio un esempio: la scorsa stagione, a Livorno, avevamo grosse difficoltà in attacco e quindi abbiamo costruito la nostra fortuna e quindi la salvezza basandoci su una solidissima difesa. In questa stagione, a Reggio Calabria, ho giocatori con caratteristiche totalmente differenti e dico che – avendo l’ultima difesa della LegaDue – se non fossimo riusciti a mettere in piedi il quarto attacco della Legadue, non ci saremmo mai salvati. Ecco, alla fine sta alla duttilità e all’intelligenza di un allenatore capire qual è la strada migliore e meno stressante per a squadra per raggiungere l’obiettivo.”
Sei diventato coach anche a causa di una malattia che ti ha impedito di continuare a giocare quando eri ancora buono. Pur con questa premessa, ce l’hai un maestro di riferimento, oppure non hai avuto il tempo per averne uno?
“E’ vero. Purtroppo, da coach, non sono riuscito ad avere un vero e proprio maestro. Tutto quello che oggi porto con me sono le mille esperienze con i grandi allenatori che ho avuto come giocatore e un buon bagaglio che mi sono costruito a livello giovanile nella Virtus Siena. Non dimentico però i tanti buoni consigli di allenatori veterani, nell’arco di questo periodo di allenatore professionista, con i quali ho avuto la fortuna di confrontarmi. E non voglio poi dimenticare i suggerimenti e la guida di Claudio Crippa, che per me è un vero e proprio iniziatore.”
Viviamo in un mondo – politica, aziende e altro ancora – che, a mio avviso, è sempre più in mano ai simpatici e sempre meno in mano ai competenti. Nel basket secondo te che situazione c’è?
“Gli agenti ed i procuratori hanno in mano gran parte di questo mondo, ma io non voglio lasciare da parte le società, perché chi ha la forza, come le società che vogliono costruire un progetto, possono avere la possibilità di costruirsi il proprio futuro. Poi, riguardo alla simpatia, secondo me in tutti gli ambienti, prima o poi, i meriti vengono fuori. Quindi il lavoro, il metodo e il sistema pagano. Diciamo che tutti, simpatici e meno, iniziano un percorso, ma alla fine quelli bravi ottengono i meriti che meritano.”
Paolo Moretti duro e intransigente con i giocatori, asciutto nei rapporti. Di questo si parla nel movimento cestistico o – almeno – questi sono i rumors. E questo pare che comporti poi il fatto che, dopo ogni stagione in cui comunque ci sono stati obiettivi raggiunti, Moretti non venga riconfermato. Sono favole o c’è qualcosa di vero?
“Guarda, ancora non conosco l’etichetta che gli addetti ai lavori mi hanno impresso. Dico soltanto che finora, escludendo Livorno – in cui sono successe cose al di fuori della mia comprensione e delle quali, quindi, non mi va di parlare – direi che ho sempre cambiato in meglio. Quindi, quando uno può cambiare in meglio, non vedo perché non cambiare; sia per ambizione sia per mettersi in discussione. Per quanto riguarda il rapporto con i giocatori, io cerco sempre di essere me stesso. Pretendo tantissimo, perché sono disposto a dare tutto me stesso. Non so se la ricetta giusta sia questa, ma è la mia: pretendere tanto, dando tantissimo.”
Parliamo un po’ della tua stagione a Reggio Calabria. Hai firmato che avevano già preso Williams, Bunn, Lestini, Rugolo e Sy e – sembrava – un altro allenatore. Hai firmato che le altre squadre già si allenavano. Raccontaci un po’ come mai questa sfida reggina presa al volo…
“Diciamo che a Reggio Calabria la mezza squadra che era già in piedi l’aveva costruita Giuse Barrile con l’aiuto di Capobianco, che sembrava dovesse essere l’allenatore di quella squadra. Poi le cose sono cambiate per quanto riguarda la panchina e ho risposto molto volentieri all’offerta di Reggio Calabria, con orgoglio e molta voglia, perché ritengo che un allenatore debba allenare, senza fare eccessivi calcoli. Io volevo allenare ed ero inquieto, mi metteva ansia iniziare la stagione da fermo, aspettando che qualche panchina si liberasse. A Reggio Calabria sapevo che i primi due mesi sarebbero stati difficili. Abbiamo costruito la squadra con quanto avevamo e con quanto il mercato ci metteva a disposizione. Abbiamo allestito un gruppo competitivo e combattivo, che ha guadagnato con merito la salvezza.”
Vista da Roseto, la tua “perla” in stagione è il colpaccio in casa della prima in classifica, l’imbattuta Caserta…
“Direi proprio di sì. A Caserta – che era imbattuta da 8 turni – abbiamo fatto una partita straordinaria, giocando con grande diligenza e portando via i due punti alla prima in classifica. Quella perla è stato anche l’inizio del nostro momento migliore, che è durato fino a tutto il mese di gennaio, con 7 vittorie in 11 gare mantenendo una media da play off. Poi, alcuni problemi esterni al campo ci hanno un po’ condizionato, ma sono contento. Anzi contentissimo da quando, grazie alla vittoria contro Fabriano, ci siamo matematicamente salvati.”
Reggio Calabria è – nel basket – la città di Volkov, di Sconochini, di Recalcati, di Gebbia, di Ginobili, di Avenia, di Lardo, di Zorzi e di tanti altri. E’ una bella soddisfazione che alla voce “Salvezza 2006/2007” ci sia il tuo nome…
“Beh, il paragone con tutti i nomi che hai citato va un po’ stretto a loro, però se guardo alla storia più recente e cioè le ultime due stagioni davvero orribili da tutti i punti di vista con due retrocessioni, disputare una stagione dignitosa con un budget all’osso e salvarci a due giornate dalla fine ci fa stare al fianco, con onore, della gente importante che hai citato.”
Soldi. Imola ha speso, credo, più di voi, Novara ha rifatto completamente la squadra eppure le avete lasciate dietro. Come si ha a fare un torneo di LegaDue – da quanto si sente – con un budget inferiore a 500.000 euro per i giocatori?
“Facendo di necessità virtù: il punto di partenza che ho sposato e di cui ero conscio. Abbiamo aspettato tantissimo, tant’è che l’inizio di stagione avevamo problemi di amalgama e coesione e quindi momenti tribolati. Abbiamo comunque costruito un gruppo con forti motivazioni, certo con limiti fisici e tecnici – diciamo un gruppo non particolarmente atletico –, forse sbilanciato vicino a canestro e con un po’ di problemi lontano da canestro, un gruppo con qualche problema di equilibrio nel gioco interno-esterno. Un gruppo con due play: uno di 22 e uno di 20 anni (il 22enne rookie alla prima stagione in Italia). C’erano incognite e c’erano scommesse, ma credo che abbiamo lavorato bene. Giuse Barrile, esperto dirigente, equilibrato ed esperto, è stato importante perché mi ha dato sempre serenità e tranquillità e questi sono stati i segreti di una stagione alla fine positiva.”
Grande merito quindi a tutta la squadra: vogliamo parlarne un po’ più in particolare?
“Iniziamo dagli americani Williams e Bunn: sorprese positive. Due uomini che hanno trascinato in positivo tutto il gruppo e non è facile trovare due professionisti così sensibili alla causa comune. Certo, sono due professionisti attenti ai soldi e alle loro statistiche, ma alla fine hanno sempre avuto un occhio per la squadra e questo credo sia un merito che va loro dato. Una menzione anche per Maestranzi, uscito da poco dall’università, che ha tenuto bene il ruolo di play, coadiuvato da un altro giovane come Ferrara. Io pensavo di soffrire in quel ruolo e invece abbiamo tenuto bene il campo in ogni situazione, anche contro avversari molto quotati. Per quanto riguarda tutti gli atri, un’ampia sufficienza, visto che quest’anno hanno avuto ruoli da protagonisti, che magari non avevano mai ricoperto e considerata la giovane età. Rugolo, 26 anni e protagonista quest’anno; Lestini, 23 anni e primo anno da protagonista; Mladjan, primo anno da protagonista; Sciutto, 28 anni e ruolo di specialista dalla panchina e invece con noi ha giocato 30 minuti partendo in quintetto. Tutti i nostri giocatori sono stati importanti.”
Uno sguardo più ampio sul torneo di LegaDue, mai così equilibrato e senza una squadra “ammazza campionato”. Che idea ti sei fatto, chi salirà direttamente in Serie A?
“E’ un stagione agonisticamente di livello importante, con risultati mai scontati e molte sorprese. Campionato quindi molto equilibrato e delle tre che sono lassù secondo me la più attrezzata è Rieti, che però ha fatto un passo falso a Jesi. Mi piace Rimini, ma forse, calendario alla mano, per la situazione che si è determinata, Caserta è quella che ha le possibilità più grandi.”
Uno sguardo alla Serie A. Siena “ammazza campionato” oppure occhio a Roma in prepotente salita?
“Direi che Siena ha mantenuto con costanza il rendimento in assoluto più alto con pochissimi cedimenti. Roma in grande crescita e quindi come seconda ci sta tutta. A me tutte le altre non hanno convinto appieno, salvo la Benetton Treviso. Aspetto tutti i gradi di giudizio e – se Treviso dovesse farcela a disputare i playoff – occhio alla mina vagante Benetton.”
Ultima domanda: cosa farà Paolo Moretti la prossima stagione?
“In questo momento a Reggio Calabria dobbiamo finire la stagione cercando di salvare il basket e la società anche fuori dal campo. Noi abbiamo salvato il titolo e adesso è tutto in mano ai soci e a chi vorrà traghettarla. Al momento non ci sono progetti, ma stiamo a vedere. Per quanto mi riguarda, diciamo che in estate mi metterò alla finestra con molta meno apprensione rispetto alla stagione scorsa quando, dopo un’ottima esperienza in Serie A, avevo aspettative e rimasi deluso. Quest’anno non voglio crearmi troppe aspettative. Vedremo...”
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