Roseto Basket Story
ANTONIO VA IN PENSIONE

Antonio Di Pasquale, custode del PalaMaggetti, va in pensione dopo 32 anni passati in Via Salara.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerd́, 04 Febbraio 2011 - Ore 18:30
Avere le chiavi deve fare un certo effetto. Sapere che senza di te la scatola dei sogni non si apre e il gioco non può cominciare, deve essere qualcosa di forte. Di potente.
 
Poi però il potere tocca saperlo esercitare, senza sbavature né grevi sbandate. E allora devi essere uno come Antonio Di Pasquale, che per 32 anni ha esercitato il potere assoluto sul palazzetto dello sport di Roseto degli Abruzzi, senza che nessuno mai se ne accorgesse.
 
L’attuale PalaMaggetti, costruito nel 1978, è stato gestito da Antonio il custode da marzo del 1979 fino a oggi, venerdì 4 febbraio 2011, ultimo giorno di lavoro per il taciturno e bassetto “uomo delle chiavi”, che proprio ieri ha festeggiato il suo 67° compleanno.
 
Antonio c’è sempre stato, il palazzetto è praticamente “nato” con lui. C’era quando la sua creatura non aveva le curve e c’era quando – nel 2003 – è stato rifatto tutto quanto. Entrato in servizio con il Sindaco Ragnoli, Antonio ha visto passare Calvarese, Angelozzi, Vannucci, Cappucci, Crisci e Di Bonaventura. Sette sindaci, un solo custode.
 
Antonio ha preso servizio che il basket era ancora quello dei due tempi da 20 minuti e non c’era il tiro da tre punti. Adesso i tempi sono 4 e il tiro da tre punti è nato e persino cresciuto.
 
Antonio Di Pasquale e la sua famiglia (la moglie Filomena, i figli Mara, Luigi, Sara e Luca, la nipotina Alice) hanno vissuto 32 anni dentro il PalaMaggetti: una sorta di enclave umana in un territorio fatto di cemento e ferro, gradini e spogliatoi. E quella umanità, che Antonio e la sua famiglia hanno trasmesso 24 ore al giorno al “palazzo” per 32 anni, è servita. Servita per le tante emergenze quotidiane, per le soluzioni in corso d’opera, per i montaggi e gli smontaggi notturni fra uno spettacolo musicale, una gara di volley e quell’altra di basket.
 
L’umanità di Antonio e famiglia non è mai mancata, anche se fare un lavoro che ti assorbe tutto il giorno non deve essere facile, né buono per i nervi. Un lavoro che – nel decennio d’oro del basket rosetano 1996-2006 – ti fa aprire il palasport al mattino verso le 09.30 e chiuderlo intorno a mezzanotte.
 
Umanità e disponibilità, come dimostrano i tanti ricordi sparpagliati per oltre tre decenni, che Antonio accetta di condividere una volta vinta la naturale ritrosia di chi ha sempre avuto le chiavi, senza mai abusare del suo potere. Uno che parla poco, Antonio, e che non ci tiene a scrivere libri di memorie. La sua esistenza lavorativa è stata silente come il suo palasport a gara finita.
 
Qualche ricordo però ruzzola giù per i gradini, proprio il giovedì sera del compleanno, la sera prima dell’ultimo giorno di lavoro. Dirigenti e giocatori rimbalzano dentro un campo lungo 32 anni.
 
Ecco la figura severa di Giovanni Giunco, con cui il custode ha avuto un rapporto a volte spigoloso, ma sempre pieno di stima. Il Presidentissimo non esitò a definire Antonio uno che borbottava, ma su cui potevi sempre contare. Una riflessione che Giovanni esternò nel corso di una cena pubblica per il Roseto Basket, l’unica alla quale Antonio fu invitato, come sottolinea con un sorriso.
 
Ecco l’amatissimo Leo Busca, il play delle promozioni e delle salvezze, che i figli di Antonio chiamano “Zio Leo”.
 
Ecco il piccolo Luis Flores, praticamente adottato, insieme alla compagna Gina, da Antonio e famiglia. Tanto da tornare – da Reggio Emilia, dove giocava dopo la stagione rosetana – a trascorrere il Natale al PalaMaggetti. 
 
Anche Jason Capel si legò molto ad Antonio e ai figli, vincendo la diffidenza verso i ravioli e – dopo averli assaggiati – onorando la buona cucina con una prestazione culinaria da quattro piatti.
 
E Jack Martinez? Quando la sua pigrizia lo portava a marinare qualche allenamento gli toccava sorbirsi le reprimende del piccolo Luca, al quale il dominicano regalò – forse per stima verso la sua saggezza – addirittura la playstation.
 
C’è poi una pianta in casa Di Pasquale. La regalò nel 2006 Daniele Cavaliero, alla famiglia che così tanto bene lo aveva trattato. Il vaso è ancora lì, curato da Antonio: custode col pollice verde.
 
Nell’ultimo periodo la complicità e la confidenza sono soprattutto per Vittorio Fossataro, uomo di basket da oltre 30 anni sulla breccia.
 
Ma i ricordi sono tanti e vanno ancor più lontano. Così ad Antonio tornano alla mente i pisolini schiacciati mentre Bruno Boero allenava il Roseto che poi sarebbe retrocesso allo spareggio, oppure le prime volte in cui non conosceva l’utilizzo degli strumenti del tavolo come le palette per la segnalazione dei falli.
 
E poi ancora giocatori. D’Alba, lungo di una Roseto di cadetteria di qualche decennio fa, con la sua mania di uscire sempre per ultimo dagli spogliatoi, dopo essersi abbondantemente lisciato ed aver curato ogni pelo della sua profetica barba. Oggi, la palma del più “leccato” ce l’ha il rosetano doc Sergio Di Nicola.
 
E la palma del più furbo? Marco Aureli, impareggiabile nel trovare qualche scusa – ai suoi tempi – per attenuare la frequenza degli allenamenti. Ma Marco era uno che di giorno lavorava come agente rappresentante, guidando, e la sera arrivava al palazzetto comprensibilmente stanco.
 
E poi ancora Marco Pazzi, Danilo Gallerini, Max Monti e Bryant Sylvere, che lo invitò una sera con la famiglia al pub, prima di essere ceduto a stagione in corso a Pistoia. I nomi saltano fuori dai ricordi della famiglia unita intorno ad un gradino del palasport. E ognuno ci mette un pizzico di affetto.
 
Antonio va in pensione dopo 32 anni con ancora negli occhi le coreografie del decennio d’oro. Le splendide invenzioni dei tifosi, verso i quali ha avuto un occhio di riguardo. Se il palazzetto doveva essere aperto prima della partita ad una determinata ora, qualche strappo alla regola, per consentire l’allestimento delle splendide scenografie e per la prova dei movimenti, c’è stato. Ma le emozioni valevano le deroghe.
 
Dunque 32 anni bellissimi? Diciamo di sì, con un unico, bruttissimo neo: il cazzotto che Svetislav Pesic – allora coach di Roma – rifilò a Filomena in un concitato finale di Roseto-Roma. Filomena, che purtroppo si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, volendo soltanto aprire in fretta il tunnel per proteggere il rientro dei giocatori, si beccò un pugno dal tecnico slavo, che gli lesionò il timpano e ruppe un dente. Nonostante la denuncia, gli anni sono passati e il pugilatore Pesic l’ha fatta franca. Male per Antonio e famiglia, che hanno dovuto pagare qualche migliaio di euro di cure mediche. Ma in 32 anni di affetti e ricordi, un maleducato e un brutto ricordo possono avere le dimensioni di un piccolo neo su una grande e bella guancia che sorride.
 
Un sorriso dedicato a Roseto. Un sorriso lungo 32 anni. Il sorriso di chi aveva le chiavi. E ha sempre aperto.
 
Grazie, Antonio. E grazie alla tua famiglia.
 






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