Sull'agonia di Superbasket, mi sono arrivate e continuano a giungere richieste di opinione. Qualcuna sollecita anche una mia presa di posizione.
Quando ero Direttore di Superbasket (febbraio 1997-dicembre 2008) ho difeso il giornale, la redazione e tutto il mondo intorno alla rivista e alla Casa Editrice - come dire? - a prescindere.
In altri tempi avrei detto come un comandante, ma in questi potrei essere confuso e schernito, pensando ad una barca che affonda.
Quando sono uscito dalla Cantelli Editore, invece, ho preso l'impegno di non parlare di quanto era successo e dell'atteggiamento di alcuni. Ho solo dovuto fare cenno alla vigliaccheria di uno solo (per lui vale ancora la battuta di G.B. Shaw che "a volte il silenzio è la migliore forma di rispetto") e ho mantenuto questa "consegna".
Oggi dico che non ho bisogno di esprimere pubblicamente il mio dispiacere; né mi è stato richiesto, perché i messaggi che ho ricevuto condividevano solo la mia stessa speranza.
Però era giusto fare questa precisazione, per i tanti che non mi conoscono direttamente.
Io sono nato giornalista, con Superbasket. Se muore, muore una parte di me. E di tutta la pallacanestro italiana.