Oggi, 30 giugno 2012, Paolo Moretti compie 42 anni.
“Paolino” è stato il campione capace di vincere Scudetti e Coppe e di essere giocatore importante con l’Italia, prima di diventare allenatore e costruirsi in breve tempo una solida carriera, tanto breve quanto densa di soddisfazioni.
Il Nostro, poi, è uomo che si è trovato a nuotare nel mare nero della malattia, combattendo fino a riguadagnare la riva della vita salva.
Gli eventi hanno provato a speronargli la vita, ma lui ha difeso forte.
Tornato nella sua Roseto, dove vive ormai da oltre un decennio quando non lavora, gli abbiamo fatto qualche domanda.
Paolo, per i tuoi 42 anni il primo regalo te lo sei fatto da solo, firmando ancora con Pistoia?
«Sì. Abbiamo rinnovato per altre due stagioni, con opzione per la terza. La grande volontà di trattenermi da parte della società si è trasformata in una offerta pluriennale, ma la cosa che più mi ha convinto è stato l’entusiasmo. Un entusiasmo di tutti: società e tifosi. Non potevo perciò dire di no a un progetto e a un contratto che mi permetto di definire – soprattutto in questi tempi difficili – rari e molto positivi».
Il tuo nome è stato affiancato a numerose squadre di LegaDue e di Serie A. Mai come nei giorni scorsi sei stato un “uomo mercato”. Hai mai pensato di andar via da Pistoia, viste le lusinghe?
«E’ vero, mi hanno cercato molto. Il mercato era diviso fra squadre che avevano già fatto budget e programmi e da sodalizi che invece non erano ancora pronti. In questa situazione, mi sono fatto convincere dalla piacevole aggressività di Pistoia».
In Serie A ci sei già stato, da outsider a Livorno, facendo anche bene. Non ti manca tornare nella massima serie?
«Ogni cosa a suo tempo. Non ho l’ansia di dover fare qualcosa di grande e importante a tutti i costi e direi che mi stimola restare a Pistoia, città che ha vissuto il grande basket e che va avanti in un progetto che ci ha portato ad un passo dalla promozione. Dipenderà forse dalla mia carriera da giocatore, che magari mi dà tranquillità, ma devo sinceramente dirti che non ho ansia di tornare in Serie A né ansia da prestazione».
A Pistoia hai aperto un ciclo, terminando la tua quarta stagione, di cui tre complete. E mi piace pensare che andasti a Pistoia lasciando il posto di opinionista a “Pane & Basket”, dove ci onorasti della tua presenza…
«Già, è stato bello fare televisione in un momento in cui non allenavo e ho bei ricordi del nostro gruppo. Da allora a Pistoia, per un ciclo che continua».
Quanto ha influito, nella scelta di restare a Pistoia, la tua famiglia?
«Ha avuto una sua influenza. Non primaria, ma direi che ha avuto un certo peso».
Nella stagione appena finita siete arrivati in finale playoff, con un organico non da prima fascia. E se non vi avessero inflitto 2 punti di penalizzazione per problemi amministrativi, potevate giocare voi con il fattore campo in casa. Sei soddisfatto della stagione appena conclusa o hai qualche rimpianto?
«No, nessun rimpianto. Non posso averne, al termine di una stagione in cui abbiamo resettato tutto e alzato l’asticella per darci nuovi obiettivi almeno tre, forse quattro volte. I punti di penalizzazione, le particolari e favorevoli coincidenze di Brindisi nella scelta di uno straniero come Gibson che ha cambiato faccia alla squadra, i percorsi differenti nei playoff delle due squadre arrivate in finale e altre considerazioni, direi che confermano la nostra stagione eccezionale».
Da dove si riparte, dopo una stagione eccezionale?
«Dai contratti in essere di Toppo, Galanda e Saccaggi. E dalla consapevolezza che dovremo fare di nuovo due o tre scelte rischiose, azzeccandole, per rifare una stagione positiva come quella appena conclusa. E poi ripartiamo con la voglia di inserire nel roster un paio di giovani che vogliamo far crescere nel tempo, consapevoli che ripeterci sarebbe un miracolo, ma sereni anche nel caso in cui non dovesse riuscirci la conferma di quanto fatto nel campionato appena concluso».
Come sei riuscito a massimizzare un organico già non fortissimo, che ha poi subito più di un inciampo nel corso della stagione a causa degli infortuni?
«Direi che contano molto duttilità e disponibilità dei giocatori. E i miei giocatori avevano queste qualità. Partendo da queste basi, sono riuscito a far sentire tutti importanti. Quando hai pochi giocatori, hai problemi nelle rotazioni e nella gestione dei carichi di lavoro, ma hai un vantaggio: se riesci a far sentire tutti importanti, i giocatori ti danno anima e cuore, perché sanno che prima o poi toccherà a loro. Noi siamo stati una squadra con un grande feeling dentro e fuori dal campo e credo che la nostra unione di intenti e il nostro spirito siano state le armi in più».
Pistoia oltre le aspettative a livello di gruppo, ma soffermati su sorprese e conferme…
«Le sorprese sono Hardy e Saccaggi. Hardy, molto semplicemente, ha iniziato il campionato da rookie e lo ha finito da MVP. Relativamente a Saccaggi, pensavamo di avere un ragazzo da 7 minuti di media e far crescere piano piano, invece questo ragazzo si è trovato a gennaio a gestire, da unico playmaker, la squadra che è poi arrivata a giocarsi la finale per la promozione. Per quanto riguarda la conferma dico Toppo, perché Fiorello, nella sua umiltà, è un giocatore che ogni anno fa un passo avanti e, personalmente, mi sento orgoglioso e ho i brividi di piacere quando l’umiltà sale in cattedra».
Il tuo amico Simone Pianigiani è andato in Turchia. Il tuo ex coach Ettore Messina è tornato in Russia. Tu la faresti una esperienza da allenatore all’estero?
«Assolutamente sì, non ho alcuna preclusione ed anzi mi affascina questa ipotesi».
Se Pianigiani vince anche ad Istanbul diventa un guru internazionale dopo aver fatto la storia in Italia. Ma Istanbul non è Siena…
«Faccio fatica a dare consigli a uno come Simone. Posso soltanto dirti che ammiro il suo coraggio. Il suo sarà pure un contratto con molti zeri, ma direi che non è stata una scelta facile, perché ci vogliono coraggio e curiosità. Sono molto curioso di vedere Pianigiani senza Siena, ma anche Siena senza Pianigiani. Spero che Simone lasci il segno anche a Istanbul, perché in Italia è ormai già fra i 5 migliori allenatori italiani di sempre».
Pensierino rosetano. Sabato 14 luglio 2012, tutti all’Arena 4 Palme?
«Certo! I tifosi hanno pensato una bellissima iniziativa. Io sono sempre molto sensibile a queste cose. Di recente sono stato a Mestre per ricordare Davide Ancilotto e andrò a Bologna per una iniziativa, in ricordo di Lucio Dalla, per aiutare la popolazione emiliana colpita dal terremoto. Per la partita del cuore a Roseto, ho il vantaggio di giocare praticamente sotto casa. Invito tutti a partecipare alla serata, perché è fondamentale essere in tanti per aiutare le popolazioni terremotate».
Paolo, prima di salutarci, torniamo al tuo compleanno. 42 anni sono ancora pochi per fare un bilancio, ma sono gli anni giusti se uno ha una vita intensa come la tua. Quindi, se non proprio un bilancio, ti chiedo almeno un pensiero guardandoti indietro…
«Il pensiero è molto semplice, se mi guardo indietro: sono molto contento di tutto ciò che sono e che ho. E rifarei tutto. Ho una vita splendida, che mi ha dato e mi dà tante soddisfazioni. Quando ho avuto delle difficoltà, le ho superate anche grazie allo sport, che mi ha insegnato come venirne fuori a testa alta. Il mio presente è la mia famiglia e devo dire grazie alla vita e a tutti quelli che mi consentono di viverla in pienezza. E grazie a Dio, che qualche anno fa mi stava per chiamare a sé, ma poi deve aver pensato che poteva aspettare. So che è una cosa molto dura e cruda da dire, ma è vera come il sole».