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Il Mondo visto da Roseto [Alessio Palmarini]
DONALD TRUMP PRESIDENTE: LE ELEZIONI AMERICANE AI TEMPI DELLA CRISI DEL MONDO GLOBALE.
Donald Trump.

Una nuova collaborazione per ROSETO.com. Si comincia con le elezioni a stelle e strisce.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 16 Novembre 2016 - Ore 11:00

L’esito delle elezioni presidenziali americane è stato un vero fulmine a ciel sereno in quanto esso era ritenuto scontato, dalla quasi totalità degli osservatori di fatti politici, negli Stati Uniti come nel resto del mondo. Si dava per certo che un personaggio come Donald Trump apparisse, agli occhi dell’elettorato, totalmente inadatto a ricoprire il ruolo di Presidente degli Stati Uniti.
 
Come è apparso chiaro nella notte italiana tra martedì e mercoledì i soli a non abbracciare questo “pensiero unico” erano anche i soli ad avere voce in capitolo in questa scelta: gli elettori americani. Essi hanno regalato al miliardario newyorkese uno dei più inaspettati trionfi della storia delle presidenziali americane, mostrando, senza possibilità di smentita, la crisi l’intero mondo intellettuale occidentale, ripiegato a parlare di sé stesso ed incapace (tranne qualche eccezione) di leggere la realtà.
 
Lo stesso mondo intellettuale che, probabilmente per sviare l’attenzione generale dalla sua manifestata incapacità di interpretare ciò che ha sotto gli occhi, da quando si è avuta la certezza della propria sconfitta nelle urne ha iniziato a lanciare continui allarmi sulle libertà messe in pericolo dall’avvento del nuovo presidente. Usando toni da crociata contro quello che è, dovremmo ricordarlo sempre, il legittimo vincitore di regolari elezioni.
 
Esemplificativo di questo atteggiamento è l’argomento sul quale massimo è l’allarme per quelle che potrebbero essere le nuove soluzioni politiche di Trump: il suo proposito di contenere l’immigrazione clandestina dal Messico mediante la costruzione di un muro al confine tra i due Stati. Questo punto del programma del neoeletto presidente è stato ovviamente quello contro cui si sono scagliate, durante il periodo precedente le elezioni, le critiche più dure e le ironie più feroci.
 
Nelle sue primissime dichiarazioni, il Presidente eletto ha ammorbidito e smussato le proprie tesi, segno che egli a presente la differenza che corre tra vincere le elezioni e governare. La costruzione del muro si è rivelata da subito per quel che era effettivamente: un efficacissimo slogan elettorale che difficilmente vedrà la luce, sicuramente non nella sua interezza. Del resto una barriera al confine dei due stati esiste già oggi, innalzata durante la presidenza di Bill Clinton (sì, proprio il marito di Hilary).
 
Sgombrando il campo da propaganda e timori gonfiati ad arte, si può affermare che questa elezione (che sicuramente segna un punto di rottura della storia politica americana: Trump ha vinto contro due partiti: non solo il democratico ma anche il repubblicano), non è che la logica conseguenza degli effetti che la crisi economica del 2008 ha portato nella politica occidentale e degli errori che le élites hanno commesso nell’affrontarla.
 
Il successo di un outsider politico come Donald Trump è solamente l’ultimo frutto politico di quella ondata di reflusso nei confronti della globalizzazione, considerata, a torto o a ragione quale causa delle odierne difficoltà in cui tutte le economie si dibattono oggi. Se è vero che la fase acuta della crisi, soprattutto negli Stati Uniti, è ormai alle spalle, il successo di Trump rende evidente che essa ha inciso nell’immaginario collettivo occidentale molto più in profondità di quanto si potesse supporre.
 
La sconfitta del Partito Democratico di Obama e della Clinton conferma l’apparente paradosso che vede le forze politiche di sinistra, storicamente più vicine ai lavoratori, punite da un elettorato che paga le conseguenze di una crisi. La piattaforma politica alla base della candidatura della Clinton è stata evidentemente percepita come troppo in continuità con quelle politiche che hanno favorito lo scatenarsi della crisi. Essa stessa, con tutto il carico di storia politica che le appartiene, è apparsa come personalmente contigua con quell’universo di finanza globalizzata che tante responsabilità ha avuto nello scatenarsi della crisi.
 
Trump nella sua campagna elettorale si è fatto, come altri politici che oggi hanno i favori dell’elettorato in tutto l’Occidente, paladino degli sconfitti dalla Crisi, sottraendo ai democratici americana la base sociale di qualsiasi movimento di sinistra: le persone ai margini della società. E questo rovesciamento delle parti, come sappiamo, non è un’esclusiva americana. Ovviamente per compiere questo “furto” elettorale Trump non ha usato concetti appartenenti alla sinistra ma ha declinato idee già presenti nell’immaginario politico dei repubblicani americani: ad esempio la protezione da tutto quello che non è americano (siano merci o persone).
 
Ha vinto perché è riuscito a schiacciare la Clinton e i democratici sulla difesa dello status quo che certamente non può incontrare i favori della maggioranza degli elettori.
 
Altro elemento, tra i tanti, che ha certamente influito sul risultato elettorale è stata l’eredità di Obama. Egli ha certamente ottenuto risultati tangibili sotto il profilo economico ma lo ha fatto andando contro alcune dei principii basilari della società americana, quegli stessi principii che la rendono così diversa dall’Europa. La riforma sanitaria e il salvataggio dell’industria automobilistica con fondi pubblici (anche se questi sono stati interamente rimborsati: cosa che se fatta in Italia basterebbe a risanare il nostro bilancio pubblico per decenni) sono soluzioni politiche che ad un cittadino europeo appaiono sensate ed efficaci (nel caso della riforma sanitaria, perfino giuste). Sono anche le tipiche ricette economiche che la socialdemocrazia europea ha applicato, con maggiore o minore successo, lungo tutto l’arco del XX secolo. Esse però cozzano drammaticamente con l’idea che ha reso gli Stati Uniti, nel bene e nel male, ciò che sono oggi: il primato della libertà dell’individuo (e quindi del cittadino) sullo Stato. E gli elettori degli Stati Uniti, semplicemente, le hanno rifiutate.
 
Vincere le elezioni non significa automaticamente fare bene da eletti. Donald Trump, come ogni politico, più che su ciò che ha detto prima delle elezioni, andrà giudicato per quello che farà dopo esser diventato presidente. Le condanne a priori non sono mai giuste, in assoluto. In politica, come si è visto, possono rappresentare dei veri e propri boomerang, soprattutto se espresse, come spesso accade, ignorando la realtà e, peggio ancora, modellandola a seconda delle proprie preferenze intellettuali.
 
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