Il tacchino alla canzanese del ristorante La Tacchinella di Canzano.
La neviera del ristorante La Tacchinella di Canzano.
Lo storione del ristorante La Tacchinella di Canzano.
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Il tacchino alla canzanese, così leggero da volare fin sulla Luna con l’Apollo 11. E poi la neviera e lo storione, che però è un dolce. Un articolo, pubblicato nel 2005 sul magazine il Segnaposto e sempre attuale.
Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 03 Novembre 2020 - Ore 10:15
Canzano esiste, curandosi poco dell’accelerata modernità.
Per forza, questo pezzo di Abruzzo teramano se ne sta pacioso a 440 metri di quota a prendere l’aria fina, divide la Valle del Vomano da quella del Tordino, è a metà strada di sguardo fra Gran Sasso e Mare Adriatico (panorami stupendi garantiti in caso di passeggiata): perché dovrebbe curarsi del nuovo che avanza?
Vietato parlare di fretta ai nativi; loro sono conosciuti per l’antica lavorazione del merletto e per il tacchino alla canzanese: due cimenti in cui la pazienza e il tempo lavorano in santa alleanza per creare capolavori.
E poi, quando vogliono non correre, bensì precorrere i tempi, ai canzanesi basta un minimo di impegno, avendo dalla loro un formidabile alleato: il tacchino (alla canzanese, appunto) con la sua deliziosa gelatina. Già, perché la leggenda vuole (non ci sono documenti, ma in molti sono pronti a giurarlo), che la squisita pietanza a base di carne bianca, acqua e aromi, sia stata liofilizzata e compresa nelle scorte in dotazione a Neil Armstrong, Michael Collins e Edwin (Buzz) Aldrin, che nel 1969, “a cavallo” dell’Apollo 11, misero piede sulla luna.
Motivo? Pietanza gustosa e sana, priva di grassi aggiunti, ideale per le scorrazzate siderali.
Caspita: da Canzano fin sulla luna, altro che internet e terzo millennio! Con questo formidabile mix di antico e moderno, spruzzato di surreale, capita di arrancare in salita lungo Via Roma, corso principale di Canzano. Che già arrivare significa volere fortemente visitare questo luogo di circa 1.800 abitanti.
Il ristorante simbolo della cittadina si chiama “La Tacchinella”. Quando è stato fondato? Nel 1969 … “ca va sans dire”! Ristorante a conduzione familiare nel vero senso della parola, visto che in sala c’è Dario Fidanza, 40 anni, e in cucina, insieme alla mamma di Dario – la fondatrice Antonietta Di Clemente – c’è Aurora Michini, moglie dell’uomo di sala e capace di soddisfare anche i palati vegetariani, su ordinazione. La Tacchinella significa cucina tradizionale, se si considera che, dal 1969 ad oggi, l’unica innovazione uscita dalla rigorosa cucina è il tortino al cioccolato. Oggi che la televisione è piena di programmi con cuochi e cimenti culinari e nessuno cucina più in casa, Dario Fidanza – cogliendo la contraddizione – sorride e rimane sereno nella sua culla fatta di impegno.
Certo, una culla un po’ fuori mano, perché Canzano è una vetta da guadagnare con sacrificio, ma nell’arco di oltre 35 anni il passa parola e la recensione sulle guide hanno fatto il miracolo di tenere accesa questa fiammella della buona cucina teramana, che non è un ristorante alla carta, ma propone tutta la gamma del buono (spaghetti alla chitarra, mazzarelle, scrippelle ‘mbusse, “Virtù” ogni Primo Maggio e, su ordinazione, baccalà), oltre all’istituzionale tacchino alla canzanese e al distintivo piatto di fettuccine tricolore.
Oggi la cuoca Antonietta ha 58 anni e, facendo due conti, possiamo donare un mazzo di fiori alla sua voglia di cucinare, visto che creò il ristorante quando di anni ne aveva soltanto 22 (oggi, a 22 anni, in che percentuale, sulla forza attiva, le giovani donne hanno già provato l’ebbrezza del lavoro e del guadagno?). E invece Antonietta e suo figlio Dario hanno intrecciato i fili della loro vita a quelli del lavoro e della passione, un po’ come fosse un prezioso merletto. Lavoro e passione, tanto che, dal 1994, al ristorante si è affiancato un laboratorio artigianale che realizza tacchino alla canzanese e altre pietanze a base di carni bianche, confezionate (anche in mono porzione) e distribuite in diversi punti vendita (per tutti quelli che non hanno tempo né di preparare il tacchino né di salire fino a Canzano).
Come dire: se il buongustaio non va alla Tacchinella, la Tacchinella va a casa del buongustaio. E i tacchini? Dall’estate 2005 c’è un consorzio, tutto canzanese, finalizzato alla valorizzazione del tacchino e di tutto il “buono” che la cittadina ha. L’obiettivo, rimanendo in cucina, è quello di allevare tacchini con pascolo a terra, alimentazione arricchita di ulivo, ghianda e altro, ottenendo un prodotto dalle carni di qualità superiore alla norma.
La Tacchinella nasce dunque nel 1969 dalla gagliarda Antonietta, che caratterizza il locale creando le “fettuccine tricolore”, piatto verde bianco e rosso, condito in bianco con funghi e salsa di tartufo. Un primo in onore dell’Italia unita dunque (e quanto è bello, oltre che buono, gustarlo in questi giorni di “dissolution”). Se le fettuccine sono una creazione originale della cuoca, il “tacchino ala canzanese” rappresenta il piatto della memoria per Canzano: una ricetta vecchia oltre un secolo, che corre sui binari della morbida gelatina, dai quali è impossibile deragliare.
Personaggi inerpicati fino a Canzano per ristorarsi alla Tacchinella? Dal 1969 sono stati tanti. Qualche foto alla pareti testimonia il passaggio; il sorriso degli ospiti sembra testimoniare, al di là della circostanza, il gradimento delle portate. Nomi? L’attore Alessandro Haber, i cantanti Ivan Graziani, Drupi, Riccardo Fogli e i Neri per Caso, il canoista Antonio Rossi e, dulcis in fundo, il critico d’arte più adrenalinico che ci sia: Vittorio Sgarbi. Estroso a partire dalla sua prenotazione, come racconta Dario Fidanza: “Era da poco passata la mezzanotte. Mamma era già andata a nanna. Lui telefonò e noi credemmo ad uno scherzo. Invece venne davvero e andò via che erano passate le 4 del mattino. Antipatico Sgarbi? Tutt’altro, fu cortese e gentile (e vorrei vedere, vista l’ora!, n.d.r.), dicendo che l’antipatico a tutti i costi è praticamente quello che da lui si aspettano quelli che lo invitano in televisione”.
Vittorio Sgarbi, seppur gentile, non va certo d’accordo con i ritmi lenti e calibrati che da secoli scandiscono la vita canzanese. Un esempio? La cuoca Antonietta, per fare la pasta che andrà poi servita nel ristorante, di regola si alza intorno alle 4 del mattino… più o meno quando Sgarbi inizia a pensare di fare le ninne. Dunque estrema cura per quanto riguarda le materie prime di cucina, visto che la famiglia dispone anche di un orto e, per quanto riguarda gli acquisti, una vettura refrigerata per non interrompere la catena del freddo (e pare non siano in molti ad avere questa cura nel non alterare i prodotti freschi). Canzano è bella e offre panorami stupendi,
La Tacchinella accoglie e nutre con gusto seguendo la tradizione, la compagnia di Dario è gradevole, una visita alla neviera è illuminante. Gli ingredienti per un gustoso “fuori porta” ci sono tutti.
E prima di lasciare Canzano, siccome da quelle parti l’aria è frizzante anche ad agosto, un sorso di vino cotto servirà alla bisogna, sempre che ci siano le condizioni per servirlo e cioè che la “mamma del vino” nella botte (“fondazione” della mamma presente nella cantina della Tacchinella, anno 1976) sia stata rabboccata e lasciata in pace per un po’. D’altronde, il vino cotto è un’altra questione di tempo e pazienza. La botte piena di vino, colmata alla nascita del figlio, si lasciava riposare per un periodo variabile e veniva aperta il giorno delle nozze del figliolo. Poi, tanto vino veniva spillato, tanto ne veniva rabboccato, lasciando riposare un congruo numero di giorni la bevanda diventata un prezioso liquore composto da vini di varie annate, che col tempo facevano pace. Da queste parti, il vino cotto lo chiamano “il cappello”: vietato mettere in bocca altro, dopo quell’ultimo sorso che permea bocca e sensi di sapore di pace.
LA NEVIERA
Prima del frigorifero? C’era la neviera. Un luogo sotterraneo in cui conservare, grazie al freddo prodotto dalla neve, le carni. A Canzano, una bellissima neviera è quella del ristorante La Tacchinella. La particolarità nella gestione della neviera era la perizia che i “nevaroli” avevano nello stivare la neve. E quando, seppur raramente, la neve a Canzano non c’era, gli “artigiani del freddo” andavano a cercarsi (anche rischiando) la materia prima con i muli, sistemandola in gerle di vimini e avvolgendo il prezioso carico con paglia e foglie secche, che fungevano da materiale isolante. La neviera della Tacchinella è un capolavoro architettonico, la cui costruzione risale al 1100. Avendo la giusta pazienza ed aspettando che i clienti siano stati congedati, i più desiderosi di visitare questo capolavoro potranno essere condotti da Dario Fidanza sotto il palazzo che la custodisce. All’interno, la temperatura è costante di 10 gradi e, quando veniva stivata la neve, si stabiliva sotto lo zero e lì restava. All’interno della volta, costruita a “cielo di carrozza”, ci sono dei mattoni che sono incastrati e terminano a coda di rondine. Questi mattoni sono forati e all’interno dei fori venivano inserite delle aste di legno, alle quali venivano appese le carni da conservare. La neviera è anche un piccolo capolavoro del “circuito perfetto”, visto che alla base della scalinata di accesso esiste una cisterna, profonda 7 metri, in cui andava a finire la neve sciolta diventata acqua. Il prezioso liquido, decantato, veniva poi impiegato per gli usi domestici. La visita più “convincente” è quella durante una torrida serata estiva: 10 gradi veri… portarsi il golfino!
LO STORIONE
È un dolce che, finito e guarnito, ha le sembianze del pesce. Viene realizzato solo e soltanto a Canzano, con pasta reale di mandorle, crema gialla e crema di cioccolato. È possibile gustarlo su prenotazione, visto che la preparazione è laboriosa, il dolce delicato e le dimensioni possono anche superare abbondantemente il metro di lunghezza.
Luca Maggitti
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