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Giovedì, 16 Maggio 2024 - Ore 19:06 Fondatore e Direttore: Luca Maggitti.

Allenatori buoni per il mondo
DANIELE ANIELLO: PROSSIMA FERMATA, ECUADOR!
Daniele Aniello, nuovo coach dei Zamora Jaguars in Ecuador.

Daniele Aniello riceve il premio Alessio Baldinelli, nel 2015, dal presidente di FIP Marche, Davide Paolini.

Daniele Aniello giocatore in Germania.

Dopo le esperienze in Italia, Germania, Irlanda e pure Maldive, l’ex coach del Chieti allenerà in America Latina. Lo abbiamo intervistato e ne è uscita una interessante conversazione.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Lunedì, 29 Aprile 2024 - Ore 00:15

Bello come un attore, magniloquente come un politico in carriera... e pure bravo nel suo lavoro!

Parliamo di Daniele Aniello, marchigiano di Grottammare classe 1980, che fra qualche giorno – appena finito di salvare il Chieti in Serie B Nazionale – partirà per l’Ecuador, dove allenerà i Jaguars della città di Zamora, nella LBP: la lega professionistica del paese sudamericano.

Daniele è il prototipo del moderno professionista sportivo: laureato con master, poliglotta (inglese e spagnolo, oltre a un italiano di qualità), aperto a progetti ovunque lo porti la professione e formatosi attraverso numerose esperienze all’estero. Insomma: impegno, viaggi, studio, ottenimento di certificazioni in diversi stati del mondo.

Con questo biglietto da visita, il Nostro non avrà certo paura a volare fino ai margini della foresta amazzonica, per abbracciare la sua nuova avventura professionale.

Anche perché è già stato sia giocatore sia allenatore in Italia, Germania e Irlanda, oltre che coach nel 2017 addirittura alle Maldive.

Prima della sua partenza per l’Ecuador, lo abbiamo intervistato. Ecco la conversazione.
 
Daniele, com’è composta la famiglia di un cittadino del mondo?
«Sono sposato con Ivana – spagnola di Barcellona, tifosa del Barca e con tanta voglia di tornare in patria – e padre di Naia, figlia di 3 anni».

Sei uno che ha studiato molto. Riassumendo?
«Ho conseguito la laurea triennale in Scienze motorie e sportive, la laurea magistrale in Management dello sport, il diploma di specializzazione didattica Montessori. A livello sportivo, sono allenatore nazionale in Italia, in Inghilterra (Level 3) e in Spagna (Entrenador superior)».

Hai appena concluso una stagione a Chieti che ne contiene alcune. Quante, secondo te, e contraddistinte da quali aggettivi?
«Eh sì, non è stata proprio una stagione lineare, ma credo che in questa sede sia opportuno parlare solo di campo e di quello che sono stati per me questi mesi, periodo nel quale ho conosciuto comunque tante belle persone e stretto rapporti importanti. Ti dico perciò che, per me, la stagione 2023/2024 ne contiene almeno quattro al suo interno. La prima è quando firmai in estate: onestamente le aspettative erano quelle di poter fare un campionato di alto profilo, non per vincere ma sicuramente di fascia alta. Per cui nella costruzione della struttura della squadra e dello staff si è pensato in quella direzione. La seconda è quando abbiamo avuto, a partire dai primi di novembre, parecchi malcontenti e giocatori che volevano accasarsi altrove; prima di Natale siamo comunque riusciti a vincere quattro delle ultime cinque dimostrando che, a mio parere, in uno dei momenti più difficili, stavamo veramente trovando una buona chimica. Inoltre mi piace sottolineare che comunque nel girone di andata non abbiamo mai perso in casa. La terza è quando, nel girone di ritorno, abbiamo inserito Lips: giocatore di altissimo profilo per la B, ma inserirlo in un momento di così profondo cambiamento nel roster ha portato alla necessità di tanti adeguamenti tattici e soprattutto di equilibrio tra i singoli. Senza accampare scuse, visto che è un dato di fatto, siamo stati anche un po’ sfortunati con gli infortuni: con gli otto giocatori principali di rotazione a disposizione abbiamo disputato solo due partite dall’arrivo di Karl Lips e hanno coinciso con due vittorie. La quarta, infine, ha coinciso con il momento probabilmente in assoluto più difficile della mia piccolissima carriera e con le due difficilissimi vittorie con Ozzano ed Imola, che hanno decretato la nostra salvezza. Due settimane di una difficoltà indicibile, per quello che riguarda l'equilibrio, la gestione e lo stato d’animo del gruppo dopo gli ulteriori tre punti di penalizzazione».

⁠Più soddisfazioni per la salvezza, oppure più rimpianti per ciò che potevi fare in condizioni normali?
«Onestamente le due cose le metterei quasi allo stesso livello. Purtroppo, però, anche io (e mi sto impegnando per cercare di cambiare questo lato del carattere) sono uno di quelli per cui è più la delusione e l’arrabbiatura per una sconfitta che la gioia per una vittoria. Diciamo che la bilancia pende un pò di più verso il rimpianto per quello che avrebbe potuto essere».

⁠Neppure il tempo di gioire ed ecco accettare l’offerta dei Zamora Jaguars, in Ecuador. Parlaci di questa lega professionistica, che – almeno a vedere dal numero di spettatori delle arene, sul web – sembra una cosa interessante. Date e formula?
«Mi è sembrata una buona occasione, visto anche che non avrò tutti gli anni la possibilità  di essere libero a maggio per poter fare questo tipo di esperienze. Da sempre ritengo che la capacità di adattarsi a nuove culture, abitudini e modi di intendere il basket possa solo renderti migliore. Parliamo di un campionato abbastanza nuovo e in via di sviluppo, però la LBP è  in grande crescita sia dal punto di vista dell’organizzazione sia come considerazione tra gli addetti ai lavori in America Latina ed è vista da  tanti come una buona vetrina. Le finali dello scorso anno hanno avuto più di 5.000 spettatori e una buona copertura mediatica a livello nazionale. La regular season, in cui si gioca in pratica sempre e cioè ogni tre giorni, inizia il 29 maggio e termina il 16 agosto. Poi le prime otto classificate parteciperanno ai  playoff (al meglio delle cinque). È prevista una pausa per l’all star game, collocata tra il girone di andata e quello di ritorno».

⁠Zamora – stando a Wikipedia – ha 15.000 abitanti, sta vicino al Perù, in zona Foresta Amazzonica, ha due vivai di orchidee per 4.000 tipi totali di orchidee, è stata fondata nel 1549 dai conquistatori spagnoli e ripetutamente attaccata dagli indigeni, prima di essere rifondata nel 1800. Con quale animo prenderai l’aereo: novello conquistatore del basket, oppure un pellegrino della pallacanestro?  
«Con l’animo di che crede che la priorità assoluta sia fare bene e farsi apprezzare professionalmente, tecnicamente ed umanamente. In più, ti dico che per me una delle cose più belle è sempre stata la possibilità di unire il basket al viaggiare: fino a qualche anno tutte le estati lavoravo in almeno due camp all'estero, approfittando di tutte le occasioni che si venivano a creare grazie ai tanti contatti che nel tempo si sono sviluppati. Grazie a questi camp ho potuto viaggiare e visitare Portogallo, Norvegia, Spagna, Danimarca, Turchia, Belgio, Inghilterra ed altre nazioni. Questa la ritengo una grande fortuna e un privilegio che provo a sfruttare tutte le volte che mi è possibile».

⁠Che squadra farai, laggiù in Ecuador? Quanti stranieri sono permessi? Che livello di salari c’è? Ti porti qualcuno da qui, per un’offerta lavorativa estiva?
«La LPB consente di schierare cinque stranieri (più uno, che però deve risiedere in Ecuador da tempo). Abbiamo firmato quattro USA ed un giocatore argentino, i salari per i giocatori non sono altissimi ma rispettabili (diciamo tra i 1.500 e i 3.500 dollari mensili) e molti ragazzi vedono in questo campionato l’opportunità di aprirsi un mercato in America Latina. I “nostri” quattro statunitensi hanno tutti fatto esperienza di Division One in NCAA, a dimostrazione che  comunque c’è, anche da parte degli agenti, interesse a far firmare questo tipi di profili in Ecuador. Mi piacerebbe trovare qualcuno che possa venire con me, non è facile e va incastrato con i programmi ed il budget del club, ma ci proverò».

⁠Hai già vissuto, giocato e allenato – oltre che in Italia – in Germania, Irlanda e Repubblica delle Maldive. Cosa ti ha spinto a passare le Alpi seguendo la strada del basket?
«Intanto non sarebbe stato possibile senza avere una famiglia a supporto, non è facile lavorare e vivere di basket e attualmente probabilmente lo è ancora di più rispetto a vent’ anni fa. C’è da dire che in Italia si sta comunque bene e che secondo me abbiamo una pallacanestro di buon livello anche nei campionati “minori, unita ad un ottimo livello dei nostri allenatori. Non avendo mai giocato a livelli altissimi, non è ovviamente stato facile crearsi opportunità, però ho sempre avuto lo spirito del cercare di fare qualcosa di diverso, qualcosa che “gli altri” non fanno e che, unito ad una grande curiosità ed al voler migliorare facendo esperienza e confrontandosi, mi ha spinto alla ricerca di possibilità all’estero».

Raccontaci un aneddoto per ogni paese in cui sei stato, specificando che ruolo avevi. Partiamo dalla Germania.
«In Germania ho giocato a Weissenhorn, nella lega che oggi è la PRO B. Avevamo una squadra fortissima e solo per una vittoria non siamo arrivati a giocarci la promozione alle finali. Giocavo da  cambio degli americani in guardia ed ala piccola. Avevamo sette  stranieri: quattro Usa, un croato, un bosniaco ed un italiano... ti lascio immaginare. La mancata qualificazione alle finali per la promozione fu una grande delusione e i ragazzi americani tornarono subito tutti a casa, c’era però ancora da giocare la final four di coppa (non mi chiedere perchè la formula fosse così), dove ebbi la possibilità di partire  in quintetto e di avere spazio. Perdemmo in finale e ricordo che giocai contro Tim Nees (a Treviso in A1 nel 2000)».

Proseguiamo con l’Irlanda.
«Primo  giorno per me all’estero e primo allenamento a Longford. Il coach chiama da parte me e l’altro straniero (Rob Annechini, italo-vanadese) prima del riscaldamento, parla per dieci minuti e io non capisco nulla: fino a quel momento, pur non avendo mai vissuto all'estero pensavo di avere un livello sufficiente d’inglese. Mi giro verso Rob e dico: “Azz, Rob non ho capito nemmeno una parola” e lui mi risponde: “Ahaha tranquillo, nemmeno io!!!”. In quel momento ho capito che l’inglese del nostro coach, che non era proprio giovanissimo, aveva una leggerissimo accento  irlandese».

⁠Concludiamo in bellezza: le Maldive!
«Allenamento, ovviamente all’aperto come sempre, ed entra in campo un pappagallo!».

⁠Con quali obiettivi parti per Zamora?
«Aiutare il club a raggiungere i risultati pianificati e diventare una persona e un allenatore  migliore, confrontandomi con una realtà per me nuova».

⁠E cosa ameresti fare, tornato da quest’altra parte, nella stagione 2024/2025?
«Spero di meritarmi una chiamata, da parte di una squadra importante e ben strutturata».

⁠Ultima domanda: ci hai pensato che tu, marchigiano della provincia di Ascoli Piceno, debutterai a Zamora e che un altro marchigiano, Neri Marcorè (della provincia di Fermo), quest’anno ha debuttato – da regista – con un film intitolato “Zamora”?
«Sono sincero, non sapevo di questo film. Ora di sicuro lo guarderò!».

Luca Maggitti Di Tecco
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