Oggi è morto, a Roma, Franco Ferrarotti. Aveva 98 anni.
Nato a Palazzolo Vercellese, in Piemonte, il 7 aprile del 1926, Ferrarotti è stato il padre della sociologia nel nostro paese, diventando nel 1960 il primo docente universitario di questa materia in Italia.
Il professor Ferrarotti è stato sia componente sia presidente del Premio Letterario “Città delle Rose” per la saggistica edita, catturando l’uditorio con le sue poderose riflessioni negli anni in cui è stato con noi a Roseto degli Abruzzi. Anni che, personalmente, ricordo con grande gioia.
Proprio 20 anni fa, il 18 novembre 2004, nella Sala Conferenze della Biblioteca Civica adiacente la Villa Comunale di Roseto degli Abruzzi, Franco Ferrarotti presentò il suo più recente libro “Pane e lavoro! Memorie dell’outsider”.
Un libro al quale sono molto legato, che recensii su Roseto.com, pubblicandone uno stralcio sul “doppio standard” che ripropongo qui di seguito e che molto dice sulla cultura e sui valori del compianto professore.
[Pagina 98.]
«Poco tempo prima uno dei fondatori di «Potere Operaio», Franco Piperno, mi aveva invitato alle sue nozze, nella sontuosa Villa Miani a Roma, con la giovane figlia della famiglia Ardizzone, proprietaria del Giornale di Sicilia. Nulla di più alto borghese, tavolate luculliane; musica e danze in giardino. Piperno e Toni Negri mi avvicinano con discrezione; mi sussurrano qualche cosa all’orecchio. A sera, in una trattoria popolare, incontreranno i compagni, quelli «veri». Sono cordialmente invitato. Non ci andrò. Non mi piace e non approvo il doppio standard. A pranzo con i grandi borghesi e a cena con i proletari rivoluzionari. Rifletto: è ancora la doppia verità che emerge, il tenere il piede in due staffe, l’antico vizio italico della «dissimulazione onesta», il principio del sanior pars nel conclave quando si tratta di eleggere il nuovo papa. Forse una cultura cattolica mediterranea, programmi a parte, non può produrre altro. Gioacchino Belli lavora durante il giorno negli uffici della censura vaticana; di notte scrive sonetti all’acido prussico contro papa e cardinali. È mai possibile che da questi atteggiamenti prenda inizio e si allarghi a tutta la società un processo di trasformazione in grado non solo di ritoccare la facciata, secondo operazioni cosmetiche più o meno riuscite, ma di penetrare e rivoluzionare il costume, la pratica quotidiana, la sostanza dei rapporti fra potere e cittadini, fra uomini e donne, fra padri, madri e figli?».
Propongo un altro documento al quale sono molto legato. Si tratta di una lettera che Franco Ferrarotti scrisse nel 2011 al Sindaco di Roseto degli Abruzzi, pubblicata nella sezione [Caro Sindaco…] del libro “10 ANNI PER ROSETO – Memorie di un Sindaco, 2001-2011”, edito da Carsa, scritto da Franco Di Bonaventura, con l’introduzione di Renato Minore. Un volume che progettai, coordinai e del quale curai la postfazione. Detto dell’introduzione di Renato Minore, nella sezione [Caro Sindaco…] ci furono altri importanti contributi: Tonino Valerii, Walter Mauro, Aldo Forbice, Mario Giunco.
Ebbi la possibilità di coinvolgere alcune personalità che accompagnarono il decennio di sindacatura di Franco Di Bonaventura, del quale ero Capo di Gabinetto, e questi importanti intellettuali risposero all’appello. In particolare, mi ricordo che Franco Ferrarotti dettò questa sua lettera telefonicamente alla compianta Gabriella Lasca, che la mise in forma scritta e me la inviò mediante messaggio di posta elettronica che conservo.
Questo è il messaggio del professor Franco Ferrarotti, che ringrazio per l’apporto dato alla cultura del nostro amato Lido delle Rose.
[Caro Sindaco…]
IL ROSETO DALLA RADICE VIGOROSA
L’Italia è stata definita un arcipelago di culture.
Nessun dubbio a proposito della varietà di stili di vita in Italia: dalla lingua, dai numerosi e pittoreschi dialetti alla cucina in tutte le sue saporose forme e tradizioni regionali.
Si lamenta, con qualche buona ragione, il carattere frammentario e quindi la mancanza di una lucidità condivisa del modo di vita italiano.
Di qui un individualismo estremo, la difficoltà di operare compromessi positivi, lo scarso senso della comunità nazionale e dell’interesse pubblico. E tuttavia, ancora una volta si comprende, esaminando a fondo il fenomeno Italia, che i vizi altro non sono che virtù impazzite.
Troppo spesso le nazioni centripete, fortemente unitarie, finiscono per soffocare le loro espressioni culturali più originali a favore di un dogmatico pensiero unico. E’ invece proprio dalle radici, così pittorescamente variegate, che l’Italia trae il suo genio creativo.
Roseto degli Abruzzi è una di queste radici, forse la più vigorosa. E il premio letterario che da Roseto prende il nome, è il segno esplicito di una consapevolezza culturale che proietta Roseto e il suo Comune sul piano della vita culturale europea.
Il premio di saggistica “Città delle Rose” di Roseto degli Abruzzi non è una trovata pubblicitaria a fini turistici. Non è neppure il patetico tentativo di esaltare qualche pur benemerito personaggio locale. E’ un premio che sceglie i propri autori tra gli ingegni più vivi presenti sulla scena europea, da Todorov a Bettini, da Morin a Ginsborg.
Una volta in più si conferma che la provincia italiana è esattamente l’opposto di una realtà provinciale. E’ la riserva intellettuale e morale di cui la nazione ha bisogno, soprattutto oggi, quando deve farsi strada per fronteggiare positivamente le nuove emergenze, dal precariato giovanile ai flussi migranti dal Nord Africa, una autentica fattiva consapevolezza europea.
In questa prospettiva il Comune di Roseto, il suo Sindaco ed i suoi collaboratori hanno dato un’indicazione preziosa e nello stesso tempo un esempio luminoso.
Franco Ferrarotti
(Giurato del Premio Letterario “Città delle Rose”)
Infine, per comprendere la levatura e la dimensione mondiale dello studioso scomparso questa sera, la sua nota biografica tratta dal libro “Pane e lavoro! Memorie dell’outsider”.
Franco Ferrarotti, nato il 7 aprile 1926 a Palazzolo Vercellese, si è laureato in Filosofia nell’Università di Torino, nell’anno accademico 1949-1950, con una tesi su “La sociologia di Thorstein Veblen”, di cui aveva tradotto “La teoria della classe agiata”.
Duramente criticato da Benedetto Croce ne “Il Corriere della Sera” del 15 gennaio 1949, alla stroncatura crociana replica con due saggi nella “Rivista di Filosofia”.
Compie studi di perfezionamento a Parigi, Londra e Chicago. È fra i fondatori del Consiglio dei Comuni d'Europa a Ginevra nel novembre 1949.
Nel 1951 fonda, con Nicola Abbagnano, i “Quadeni di sociologia”.
È deputato indipendente al Parlamento per la Terza legislatura (1958-1963) in rappresentanza del Movimento Comunità di Adriano Olivetti, con cui collabora dal 1948.
Non si ripresenta per la rielezione, avendo deciso di dedicarsi in piena autonomia allo studio e alla ricerca.
Ottiene nel 1961 la cattedra di Sociologia nell’Università di Roma, a seguito del primo concorso bandito in Italia per questa disciplina.
Dal 1957 al 1962 è direttore della Divisione dei fattori sociali nell'O.E.C.E. (ora O.C.S.E.) a Parigi.
Nel 1965 è Fellow del “Center for the Advanced Study in the Behavioral Sciences” a Palo Alto, California.
Visiting Professor presso molte università europee e nordamericane, in Russia, Giappone e America Latina.
Nel 1978 è nominato “Directeur d’Etudes” alla Maison des Sciences de l’Homme a Parigi.
Medaglia d’Oro al merito della Cultura.
Membro della “New York Academy of Sciences”.
Attualmente dirige “La Critica sociologica”, da lui fondata nel 1967 ed è coordinatore del “Dottorato in Teoria e ricerca sociale” nell’Università di Roma “La Sapienza”.