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Martedì, 1 Aprile 2025 - Ore 21:51 Fondatore e Direttore: Luca Maggitti.

Solidarietà e Beneficenza
FABIO LUCA TROIANI: LA MIA AFRICA.






Intervista sul viaggio in Burundi, dal 4 luglio al 13 agosto 2024. Nell’articolo, le modalità per supportare i missionari in Africa.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerdì, 28 Marzo 2025 - Ore 11:15

Fabio Luca Troiani è un abruzzese. Carabiniere Forestale e istruttore di scuola calcio, ha avuto una importante esperienza in Burundi, nell’estate del 2024. Questa è la nostra conversazione in merito.

Come nasce l’esperienza in Burundi?
«La scelta del viaggio è legata a due episodi.
Nasce innanzitutto dall'incontro con il sorriso di Suor Suavis (che ha celebrato la professione definitiva dei voti il 10 agosto 2024 a cui ho partecipato) e Suor Celine, due donne consacrate a Dio appartenenti alla Congregazione delle “Serve del Signore” -BENE UMUKAMA- con sede principale in Bujumbura (Burundi), ma dislocate anche sul territorio italiano, tra cui al servizio della Cattedrale del Duomo di Teramo. Hanno sempre svolto il loro compito con il sorriso e con una solarità che ti accoglie come “figlio amato”! Rimasto incuriosito nel voler scoprire da dove provenisse quella gioia, ho voluto ricercarne la fonte che veniva loro dal di dentro! In realtà, era una ricerca che stavo affrontando da tempo e loro hanno dato sostanzialmente una direzione alla ricerca.
L’altro motivo, immediatamente successivo al primo, è connesso alla morte di mia madre avvenuta il 6 settembre del 2023, dopo che la malattia dell’Alzheimer durata circa 6 anni e mezzo, ne aveva preso il possesso fisico e mentale. Desideravo sostenere qualche fratello o sorella della comunità malato e a letto, cercando di non farlo/a sentire solo, come a tratti si è sentita mia madre, portando loro un saluto della comunità parrocchiale attraverso un Rosario o una semplice preghiera, perché non si sentissero abbandonate, ma alla presenza di Gesù Cristo e di Sua Madre Maria. Parlandone con il parroco del luogo dove vivo, Don Adrien di origini burundesi, mi disse che in quel periodo non c'erano situazioni cui poter essere d'aiuto e c'era da capire in me, fino a che punto potevo abbassarmi nel servizio, “sporcarmi le mani” nelle loro necessità.
Decisi così di parlarne con Suor Emmanuella, responsabile della casa della Congregazione Bene Umukama di Teramo - che svolge un servizio di assistenza alla Diocesi di Teramo e nello specifico al Duomo e alla Parrocchia ivi presente - ed iniziammo un percorso di preghiera al fine di verificare le effettive intenzioni interiori del cuore. Gli incontri mensili sono iniziati a febbraio 2023 e terminati a marzo 2024 quando decidemmo per la prenotazione del biglietto aereo».

Avevi un obiettivo, umano o pratico, da realizzare quando sei partito?
«In realtà non avevo un obiettivo specifico se non quello di dedicarmi al servizio di chi ne avrebbe avuto bisogno, anche solo sostituire il turno di una suora per darle il cambio per il riposo da ciò che era il suo compito. Sapevo, grazie alle informazioni di Suor Emmanuella, che la Congregazione Bene – Umukama era molto impegnata e presente sul territorio di Bujumbura e zone limitrofe, gestendo due strutture ospedaliere che accoglie anche le persone che non possono permettersi le cure mediche, un scuola/orfanotrofio, tre centri di assistenza anziani malati e/o abbandonati. Portavo con me solo il consiglio di Suor Emmanuella, di calarmi gradualmente nella realtà ed osservare con occhi attenti per poi valutare con il tempo dove mi sentivo maggiormente indirizzato dal cuore».

Quali sono state le difficoltà del viaggio e dell’ambientamento, una volta arrivato?
«Il viaggio in totale è durato diverse ore, circa 21 all’andata e 22 al ritorno, anche se di volo effettivo sono state molto meno. Purtroppo, non c’è un volo diretto da Roma con scalo a Bujumbura, pertanto, dovendo fare almeno uno scalo (noi per fortuna ne abbiamo fatto uno solo in Etiopia ad Addis Abeba), per prendere tutte le coincidenze ci sono parecchie ore in cui si è fermi in attesa.
Appena fatto scalo all’aeroporto di Bujumbura, la prima cosa che si notano sono i colori del cielo e la foschia dell’aria per il calore. In quella zona sub equatoriale, le temperature sono solitamente stabili, a parte il periodo delle piogge, intorno a 26°C per l’intera giornata, con aumenti di 2 o 3 gradi a metà giornata, mitigate dalla presenza del lago Tanganica.
Appena fuori dall’aeroporto si notano le prime differenze (viabilità, attrezzi da lavoro, donne e bimbi per strada o per i campi a lavorare) e già questo basterebbe per rendersi conto di quanta disparità sociale esiste con l’interno continente europeo!
Una volta arrivato, sono ospite della struttura della sede principale delle Suore che dista circa una ventina di minuti dell’aeroporto, ma che mi sono sembrati subito una eternità per tutte le cose che ho potuto osservare stando dietro un finestrino di un’auto (a proposito, esistono solo Pick-Up e SUV per il dissesto delle strade, raramente si notano auto berlina).
La stanza assegnata è ordinata e pulita, il letto totalmente avvolto da una zanzariera! Il bagno si trova in fondo ad un corridoio ed è in comune con tutti gli ospiti (durante la mia permanenza ero solo a parte una coppia spostata di Mantova, il marito era un medico dentista che quasi ogni anno raggiungeva come volontario Bujumbura per portare la propria conoscenza agli operatori all’interno delle strutture ospedaliere gestite dalla Congregazione delle suore o fare interventi un po’ più complicati. Erano arrivati nel posto una settimana prima e ripartivano al termine della seconda settimana).
Mi è stato consigliato di indossare sempre degli abiti che possano coprire quanta più parte scoperta del corpo, per evitare le punture di zanzara (tra l’altro presenti solo all’imbrunire del giorno dalle 18:30 in poi perché per il resto della giornata non ci sono), vettori spesso della malaria. Seguendo le indicazioni suggerite, dopo un paio di giorni di adattamento, il corpo ha trovato il suo equilibrio e nonostante il caldo, gli abiti lunghi in cotone non mi hanno fatto mai sudare e al contempo mi hanno sempre protetto dalle punture».

In 5 settimane, di cosa ti sei occupato nella missione?
«La prima settimana, anche in virtù della presenza del medico dentista e della moglie che per l’occasione si trovano lì per un breve periodo e per una visita del paese, ci siamo spostati unitamente a Suor Revocata, una delle suore che parlava molto bene italiano, in giro per quei luoghi che loro ritengono turistici (le cascate di Karera, le sorgenti del fiume Nilo, il luogo d’incontro tra gli esploratori famosi dell’epoca Livingstone e Stanley, ecc.). Ovviamente è stata anche un’occasione per osservare la povertà del paese, ma anche le risorse naturali che lo stesso ha, non impiegate a vantaggio della crescita socioculturale bensì per interessi privatistici e di pochi. Basti pensare che esistono distese di piantagioni di the verde di ottima qualità, come di caffè del tipo “arabica” la cui origine risale all’anno 1000 a.C. circa in una regione poco distante dal Burundi, ovvero l’odierna Etiopia. La produzione di caffè Arabica ammonta a circa il 60% di quella mondiale e i chicchi di questa varietà, noti per il loro sapore morbido e complesso, vengono spesso utilizzati in miscele di caffè di qualità superiore. Solo produrre questa risorsa farebbe fare al paese un balzo avanti nell’economia del paese se poi i proventi venissero reinvestiti nella crescita in tutti i contesti. Per non parlare poi della frutta quale Ananas, Maracujá (frutto della passione), banane, mango, papaya tutta di ottima qualità anche perché crescono naturalmente e grazie a loro che la popolazione riesce anche a sopravvivere. Infine, delle risorse minerarie della terra ed in particolar modo del silicio, elemento necessario per tutti i congegni elettronici (su cui ha indirizzato particolare attenzione la Cina!).
Andando in giro per le località, spesso ci capitava di soffermarci a mercatini improvvisati lungo la strada principale, in cui si incontravano uomini, donne e bambini, anche di tenerissima età, che si scambiavano i prodotti della terra consentendo loro di soprav-vivere!
Dopo questa prima settimana in cui ho fatto essenzialmente da osservatore da dietro un finestrino di un’auto, le successive ci siamo spostati, Suor Revocata ed io (compreso l’autista ovviamente ritenuto necessario per guidare in quelle zone, sia perché non ci sono tanti segnali stradali che ti indicano la direzione da prendere, ma soprattutto per la tipologia delle strade che si percorrono), per le varie strutture da loro gestite. In particolare, la prima visita è stata fatta presso l’Ospedale “Polyclinique Roi David”, in cui ci sono suore della congregazione che unitamente a medici e personale portano avanti uno dei centri meglio attrezzati della zona, accessibile a tutti. In realtà, ci sono tante cliniche private, addirittura una eccellenza sostenuta dai contributi della Svizzera, il problema è che pochissimi possono permettersela, considerando che il Burundi è il paese più povero al mondo come media di reddito pro capite!
I giorni e le settimane seguenti ci siamo sempre spostati da Bujumbura per raggiungere le altre strutture, a partire da quella di Gihanga (ci siamo ritornati anche una seconda volta per controllare l’avanzamento dei lavori di realizzazione di una porcilaia), una struttura che si trova ad un’ora circa di auto dalla sede principale della Congregazione, in cui due suore, due volontarie ed alcuni operai stipendiati, si occupano di assistere e gestire una ventina di anziani che sono soli, a volte malati o addirittura allettati, in condizioni che da noi sarebbero quantomeno subito segnalate, ma non certo a causa delle persone coinvolte nella gestione, che vanno oltre i loro limiti, ma per la povertà che ne determina le conseguenze critiche. Ci sono stanze da 4 o 8 persone e quando ho provato a farlo notare alla suora che mi accompagnava mi ha risposto che diversamente sarebbe stati abbandonati lungo i margini della strada!
Poi a seguire le altre strutture, quella per anziani e l’ospedale sempre gestito dalle suore, tranne il centro per anziani malati e abbandonati dislocato nella provincia di Ngozi, in quanto sia perché troppo distante (ci sarebbero volute oltre le tre ore di viaggio) e sia per la mancanza di benzina per l’auto. Erano difatti già diversi mesi che il paese era in ginocchio per il mancato approvvigionamento del carburante. Le cisterne venivano fatte entrare in Burundi con notevoli difficoltà, per la scarsa collaborazione dei paesi confinanti, ma anche perché si riteneva che vi fosse dietro un interesse da parte di qualcuno nel guadagnarci con il mercato nero, in quanto la benzina arrivava a costare in questi casi circa 6,60 euro a litro! costringendo la popolazione a muoversi a piedi, con le bici che venivano impiegate anche come mezzo di trasporto o all’interno di minibus stipati come un carico di animali.
Ho continuato con l’orfanotrofio di Bujumbura ed il centro salesiani stavolta non gestito dalle suore di Bene-Umukama, in cui al nostro arrivo ospitava circa 600 bambini tra i 5 ed i 16 anni, in uno spazio immenso! in cui si trovava all’interno anche una scuola professionale di formazione gestita dai Salesiani. In uno dei nostri spostamenti ci siamo trovati a passare anche presso la località di Ryarusera dove ha svolto per tanti anni la sua missione Don Enzo Chiarini a partire dal 1971.
Nell’ultima settimana sono stato accompagnato da un’altra consacrata Suor Nöella, che all’interno della comunità svolgeva il ruolo di Direttrice della Scuola elementare-media e superiore gestita dalle stesse suore. Lei la mattina era impegnata a Scuola per registrare le promozioni ed i vari passaggi degli alunni nelle classi superiori ed io andavo con lei ed ho cercato di collaborare nella fase di registrazione dei voti. Il pomeriggio invece, ci spostavamo soprattutto a piedi o in taxi, sempre all’interno di Bujumbura, per svolgere tutte le incombenze a lei assegnate».

Raccontaci una tua giornata tipo in Burundi.
«Dopo la prima settimana che, come detto, si è svolta prevalentemente spostandoci in auto per visitare alcuni luoghi turistici del Burundi, il resto dei giorni li ho trascorsi seguendo in tutto ciò che la mia accompagnatrice doveva fare per conto della Congregazione. Pertanto, oltre alle visite delle varie strutture, ho partecipato a tutte le funzioni religiose e non in cui Suor Revocata era coinvolta. Ho partecipato a funerali, uscite da un lutto passato un anno dal decesso, a promesse di matrimonio, a consacrazione di nuovi sacerdoti o suore, seguire progetti in corso d’opera all’interno delle strutture delle suore, cercare finanziatori per il mantenimento delle strutture. In tutti gli eventi ho avuto la fortuna di ammirare le varie sfumature di colori da usare per ciascun evento che riprendono i colori della terra e della natura, cerimonie e rituali di epoche diverse (come la consegna della lancia al nuovo capofamiglia), la dignità di uomini e donne che nonostante le difficoltà in cui si trovavano a vivere mostravano di essere fieri di appartenere ad un paese detto dalle “mille colline”, ma di altrettante contraddizioni!
Solo un paio di giorni sono stato lasciato libero di stare nella struttura principale senza alcun impegno, per prendermi del tempo per rilassarmi, per lavarmi i panni a mano non esistendo lavatrici ed in acqua fredda e riflettere su tutto ciò che mi aveva colpito durante gli spostamenti.
La sveglia suonava abbastanza presto intorno alle 5:30 perché la prima celebrazione comunitaria iniziava alle 6:00. Ma alle 4:30 ci si svegliava già, per via dei canti dei muezzin di una comunità musulmana che distava solo un paio di chilometri da noi e non essendoci palazzi alti in grado di ostacolare il propagarsi del suono, la loro voce si diffondeva liberamente per svariati chilometri. Nella stanza dov’ero ospite non c’erano finestre e quelle che c’erano non erano certo adatte a ridurre i suoni e insonorizzare la stanza.
L’attività di tutti, non solo delle suore, iniziava molto presto, andando in giro si incontrava tantissima gente che si spostava a piedi o in taxi o su minibus stracolmi di gente (sempre per via della mancanza di rifornimento) già alle 6:30 come fosse un’ora di punta, anche perché sono le ore meno calde. La doccia era rigorosamente fredda (non esiste l’acqua calda) e andava fatta appena svegli perché poi con l’inizio delle attività della città, iniziava a mancare dai rubinetti e bisognava lavarsi prendendo l’acqua dai secchi. Fatta colazione con una bevanda a base di riso e dei cornflakes trovati a basso costo (in alcuni locali dove si faceva la spesa potevano arrivare a 36.000 franchi burundesi circa 12,00 euro! e pensare che il reddito medio mensile è di 10 euro), con frutta locale buonissima e con delle noci, fatte riportare da una Suora che si trovava a Mantova, ma che era venuta in Burundi per le vacanze (visto che lì non si trovano), intorno alle 7:30 si avviava la nostra giornata in base a quello che c’era da fare nel giorno, nello specifico il lavoro da svolgere da Suor Revocata prima e Suor Nöella poi.
Spesso si restava a pranzo fuori come ospiti delle suore delle strutture che visitavamo oppure dai parenti e familiari nelle funzioni/celebrazioni cui partecipavamo, si rientrava solitamente per il rosario e le preghiere della sera, ma prima si faceva la doccia per toglierci di dosso tutta la polvere che avevamo preso lunghe le strade fatte principalmente di terra rossa. La cena alle 19:30 la consumavo nella zona dov’ero ospite con Suor Revocata, Suor Nöella, Suor Suavis che cucinava, alle 20:30 si era già a letto. C’era la possibilità di navigare con il cellulare per rispondere a qualche messaggio o postare nello stato di whatsapp alcune foto scattate durante la giornata, ma con un tempo limitato perché le tariffe per l’accesso alla rete internet erano elevate e, soprattutto, non si reperivano facilmente le ricariche».

Quanto ti è stato utile il tuo essere Carabiniere in Burundi, inteso come disciplina e capacità?
«C’era bisogno di uno spirito di adattamento e non solo dal punto di vista ambientale/climatico, ma anche a volte nel saper rispettare i compiti, i ruoli e nell’avere accortezza nel gestire situazioni e circostanze che potevano determinare criticità legate a diversità di lingua, cultura, usanze e pensiero. Tuttavia, ho mantenuto sempre le giuste distanze, lasciando che fossero i miei accompagnatori del posto a interloquire con le persone che incontravamo, tenendo comunque sotto controllo ciò che accadeva e restando attento nell’apprendere i vari usi e costumi. Sicuramente l’essere Carabiniere mi ha aiutato tantissimo, in termini di empatia e nell’entrare subito in sintonia con i più deboli».

E quanto ti è stato utile il tuo essere istruttore di calcio?
«In questo primo viaggio assai poco, c’è stata solo una circostanza in cui mi sono ritrovato appena fuori la struttura dove ero ospite, ad assistere ad una breve partita che un gruppo di ragazzini stava disputando su uno spazio in cemento totalmente fessurato e mancante di pezzi. Avrei voluto prendere parte ed integrarmi con loro, raccontare loro della mia esperienza di istruttore in Italia, ma non sapendo come avrebbero preso il mio intervento e vista la difficoltà della lingua (solo i bimbi scolarizzati parlano un po’ il francese, tutti gli altri solo la lingua ufficiale del Burundi che è il kirundi non proprio semplicissima da imparare), mi sono trattenuto nel farlo e mi sono limitato a riprenderli in modo molto discreto per non suscitare la loro reazione. Il video mostrava come ragazzini dai 7 ai 10 anni potessero divertirsi a giocare su un terreno così accidentato, tra l’altro, con ciabatte da mare o addirittura scalzi (solo due di loro indossavano delle scarpe chiuse), con porte di ferro senza rete, con un pallone quasi completamente consumato. Video che poi ho mostrato ai bimbi della Scuola Calcio del Cologna durante la cena di Natale con la speranza che potessero rendersi conto di quanto dovevano ritenersi fortunati!
Ho potuto consegnare alla scuola di formazione gestita dalle suore, una serie di kit composti da maglietta da gioco, pantaloncini e calzettoni, che la Delegazione abruzzese della FIGC mi aveva consegnato di proposito che ho portato durante il mio viaggio per poterli donare a loro. Purtroppo, la restante parte è ancora in attesa di essere spedita per i costi elevati richiesti per la spedizione e la mancanza di certezza che il materiale sportivo arrivi integro a destinazione se non supportato da continua sorveglianza.
A tal proposito ho preso contatti con l’associazione DA.PA.DU. (DAlla Parte Degli Ultimi) Abruzzo Onlus con sede in Pescara che hanno un centro operativo in Burundi a Ryarusera presso la missione avviata da Don Enzo Chiarini e l’Associazione “Colibrì” di Roseto degli Abruzzi, per chiedere loro un sostegno o un aiuto per recuperare dei fondi necessari per poter spedire il materiale sportivo che la Federazione mi ha consegnato da destinare in Burundi.
Nella circostanza, il responsabile dell’associazione DA.PA.DU., vorrebbe coinvolgermi come istruttore e responsabile dell’attività di calcio giovanile, nell’avviare un progetto sportivo che coinvolga tutte le scuole di Ryarusera in un torneo simile al campionato studentesco che si svolge in Italia. Nell’occasione potremmo destinare il materiale sportivo che ho a disposizione proprio ai ragazzi partecipanti al progetto, una volta trovati i fondi che possano sostenere l’idea. Non credo riuscirò a partire di nuovo quest’anno, mi auguro di poterci ritornare nell’estate del 2026».

Di cosa c’è bisogno in Burundi, anzitutto?
«È una domanda a cui non è semplice rispondere in poche righe. Per la breve esperienza che ho vissuto a contatto con consacrati e consacrate di ogni ordine e grado che svolgono la loro vita e missione in Burundi, ho senz’altro capito che la popolazione burundese deve davvero molto a loro per ciò che fanno su tutto il territorio, nelle povertà più estrema. Pertanto, dire che servono soldi da destinare a queste strutture che si occupano di fratelli e sorelle meno “fortunati” è abbastanza scontato, ma questi, per quanti se ne potranno inviare, non saranno mai sufficienti a sostenere una povertà ed una situazione di degrado come quella vista nel Burundi. E’ probabile, forse certo, che nel mondo esistano altre situazioni simili e ritengo che allo stesso modo, non sia solo una questione di denaro che potrà far risollevare tanta gente affamata che vive alla giornata.
Tutto dipende dagli Amministratori del paese, che avrebbe risorse naturali proprie di altissima qualità da potersi risollevare autonomamente senza contrarre debiti che ovviamente non può permettersi, al momento, per l’elevata corruzione presente in tutti i contesti che azzera ogni velleità di crescita economica e sociale.
Senza un vero cambiamento della gestione della cosa pubblica credo ogni sforzo umano ed economico potrà essere reso vano dalla parte malata del paese. Purtroppo, ci sono state già troppe guerre in Burundi che non hanno fatto altro che danneggiare maggiormente una situazione già grave e sarebbe davvero necessario evitarne di altre. Bisognerebbe intervenire a livello di organizzazione mondiale per provare ad indirizzare verso un buon governo l’amministrazione centrale.
Dal mio piccolo punto di vista, sarei già felicissimo se riuscissi a portare a termine non solo l’invio del materiale sportivo consegnatomi dalla Federazione Gioco Calcio, ma anche la realizzazione della porcilaia presente presso la struttura per anziani a Gihanga, per mezzo della quale, attraverso il ricavato della vendita dei maialini che si potranno allevare, nonché del riso, delle patate che si le suore coltivano all’interno della stessa struttura, potranno contare su una buona somma di denaro che consentirà loro di portare avanti la loro missione mantenendo in vita in maniera dignitosa, tanti uomini e donne anziane malate ed abbandonate per la povertà che altrimenti perirebbero da soli lungo i bordi delle strade.
Sarebbe un piccolo sogno invece riuscire a coinvolgere qualche azienda che possa avviare un progetto non fine a sé stesso, ma che abbia un seguito per poter portare la popolazione locale ad automantenersi con il ricavato della propria attività o produzione. Ci sarebbe bisogno di un’azienda casearia che possa aiutare un imprenditore locale a migliorare la produzione del latte, a mantenere gli animali privi di malattie che spesso portano alla morte degli stessi, alla realizzazione di tutti i prodotti caseari di buona qualità ed avviare una commercializzazione dei prodotti all’esterno del Burundi ed il ricavato verrebbe reinvestito nell’azienda che sostiene economicamente diverse famiglie del posto.
Questi sono le principali necessità che potrebbero essere soddisfatte in brevissimo tempo senza necessità di ingenti risorse economiche di difficile reperibilità».

Cosa ti ha lasciato nel cuore questa tua esperienza, come può averti arricchito?
«Gli aspetti di questa esperienza bene si identificano proprio nelle tre virtù teologali che fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del vero cristiano: Speranza, Fede e Carità, proprio in quest'ordine, secondo come io le ho vissute dal mio arrivo in Burundi.
Il primo termine che ho imparato e che ti insegnano appena arrivi è: “Amahoro”, è un saluto pacifico ed espresso come segno di benevolenza. I Burundesi sono un popolo che ha sofferto molto per le guerre civili e di etnia tribale che si sono succedute soprattutto negli ultimi anni, per ultima quella dal 2015 al 2019; questo termine indica pace a te, ma anche un ‘sentire comune’, ‘essere vicino‘, 'essere prossimo'. In quelle condizioni di profonda povertà economica e materiale, solo la solidarietà vera che nasce dall'amore per il prossimo, può tenere viva la loro speranza. La speranza che il giorno può essere vissuto perché non si è soli, la speranza di un domani migliore. Confessava Santa Teresa di Gesù Bambino: “Si prova una così grande pace e serenità del cuore quando si è assolutamente poveri, quando non si fa speranza che sul buon Dio”.
Il secondo aspetto riguarda la fede. Dalle 6 di mattina iniziano le Celebrazioni Eucaristiche, le Chiese sono piene di gente che partecipa attivamente alla funzione attraverso canti e balli, per tutto il tempo delle celebrazioni che a volte arrivano a durare oltre le 3 ore!
In tutte le Chiese trovi spesso l'adorazione del Santissimo, anche prima o durante le preghiere comunitarie come le lodi ed i vespri. Le persone si prostrano a terra alla vista del Santissimo.
C'è un alto numero di nuovi consacrati/e ogni anno. Tutto questo è frutto sicuramente della fede e della presenza dello Spirito Santo che non solo anima la loro fede, ma fa scoprire loro, nella Eucarestia, che è la Carne, il Sangue di Cristo e la Sua Parola, unico e vero cibo per ogni giorno e per la vita eterna!
Il terzo elemento riguarda il dedicarsi caritatevole di tutti i religiosi all'aiuto dei bisognosi, gli ultimi davvero della scala sociale. Grazie alla loro presenza e alle loro strutture ospedaliere o di ospitalità di persone anziane, malate, sole, senza nulla e stessa cosa vale per tanti bimbi, tutti questi soggetti riescono ad allungare i giorni delle loro vite, qualcuno anche a vivere una vita dignitosa. So che tante anime di buon cuore sono anche qui, dalle nostre parti, ma lì si percepisce maggiormente, forse a causa della diffusione di questa situazione che è generale. Non solo si dedicano, nel rispetto della dignità, di questi elementi fragili con profonda carità (accrescendo di conseguenza la loro fede, come dice San Paolo “la fede si rende operosa per mezzo della carità” - Gal. 5,6 - ovvero, nell'amore per gli altri si manifesta e si accresce l'amore confidente in Dio), ma provvedono anche al loro sostentamento e mantenimento economico perché non ci sono entrate o risorse. Coltivano, allevano, ricercano benefattori, e tutto ciò serve a creare una entrata economica.
Le due donne consacrate che ho avuto la fortuna di conoscere a Teramo, hanno venduto tutti i loro averi, facendo il voto di povertà, perché hanno trovato nel loro paese, il Burundi appunto, il tesoro di cui parla il brano del vangelo ed il tesoro sono gli ultimi del mondo, ovvero i poveri (di spirito), i perseguitati a causa delle ingiustizie del mondo e dell'uomo, coloro che saranno i beati. E questo tesoro lo custodiscono nei loro cuori, da dove proviene quel senso di gioia che ti coinvolge.
Dal mio desiderio iniziale, che mi ha spinto a partire, da ciò che ho sperimentato dall'osservazione del servizio svolto nelle varie strutture gestite dalle suore della congregazione Bene-Umukama, dalle immagini impresse nel mio cuore dell'estrema condizione di povertà,  fragilità e contraddizioni di questa popolo, nonché dalle preghiere che mi hanno sostenuto in questo tempo, sono giunto ad una sintesi del discernimento che può riassumersi con questa espressione, come lampada sul mio cammino temporaneo, che mi piacerebbe condividere con coloro che leggeranno questa mia esperienza:
"Il servizio è frutto di un amore che nasce dalla gioia che si porta dentro, che non si può contenere per sé, ma necessita di essere donata".
Finché avrai timore di lasciarti guidare dall'Amore del Signore Dio, ovunque vorrà condurti, Lui non prevarrà sulla tua libertà, né potrà far cadere quelle mura a fortezza delle tue fragilità, e liberare definitivamente l'amore che è in te, mostrando la tua vera immagine che è immagine di Dio.
Concludo con un'altra espressione in lingua kirundi, anch'essa tipica del luogo: “Imana Ibahe-zagire”, tradotto: Dio vi benedica!
Si tratta di un’espressione usata spesso alla fine di una conversazione tra due persone per dire grazie e salutarsi. La frase è anche usata per augurare il bene a qualcuno che ci ha reso felici e loro, i burundesi, mi hanno reso felice, quanto avrei dovuto essere io a rendere felici loro».

Puoi fornire le coordinate per chi volesse aiutare e sostenere la missione?
«Questo è l’IBAN con l’intestazione del conto corrente e la causale, cui poter inviare qualsiasi somma di denaro da poter devolvere per i progetti che ho indicato sopra, sarà mia diretta cura rendicontare il tutto, l’eventuale destinazione del ricavato e la successiva realizzazione di quanto auspicato».

IBAN
IT27U0538711500000035063078

Intestazione
CASA RELIGIOSA DELLE SUORE BENE-UMUKAMA BUJUMBURA

Causale
Sostentamento anziani Gihanga

Luca Maggitti Di Tecco
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