“Asmùrlu” è un termine dialettale abruzzese. Significa “spegnilo”, detto in maniera secca e perentoria.
“Asmùrlu” me lo ha detto qualche giorno fa Nonno Giovanni, 82 anni freschi di compleanno e la benevolenza senza confini che solo un nonno di lungo corso può avere verso l’unico dei tre nipoti che gli vive a un respiro di distanza.
“Asmùrlu” si riferiva al cellulare, che continuava vibrante a sputare messaggi. “Spegnilo, altrimenti non ti godi la passeggiata”, questo il consiglio di Nonno Giovanni.
Passeggiata taumaturgica, a cavallo fra le rotonde del lungomare di Roseto e oltre ancora. Passeggiata per vedere le palme d’inverno e la desolazione del rettilineo senza nessuno a fare le vasche estive. Passeggiata prendendoci l’aria di mare dentro l’orecchio destro all’andata e sinistro al ritorno.
Camminata pomeridiana per ascoltare i consigli del medico che ti invita a camminare e fare vita sana. Camminata con il Nonno per soffermarsi con gli occhi, alzando le teste, su ogni costruzione.
Il palazzo del foggiano e quello dell’americano, le epoche, gli stili, i difetti nelle opere murarie, l’umidità, gli affari e le bufale: l’analisi della crescita urbana rosetana di fronte al mare, fatta con gli occhi di chi aveva comprato un pezzo di vigneto, poi estirpato per farci casa. Intorno il nulla, o quasi.
Poi c’è la pineta del Bar dei Pini, ma quei pini marittimi così belli e compatti nel ’61 non c’erano. C’erano rosetani che dicevano a Nonno e ai suoi compagni manovali che lì non avrebbero costruito. Avevano ragione e al posto di un complesso residenziale fu messa a dimora una pineta. Appunto.
I pini sono tanti, piegati dal vento, eleganti, con le chiome sempreverdi. D’estate ci si passa in mezzo in mutande e ciabatte. Ma una volta no. Una volta ai pini ci legavano i vitelli portati nelle fiere di pianura; fiere non eccelse, sia chiaro, fiere da animali malmessi, affari fatti con lo scorno. Quelle migliori si facevano nei borghi, nelle città vecchie. Insomma, non nelle pianure quasi disabitate.
Il Nonno continua il ripasso e continua a tenere un passo completo di vantaggio, che mi ha preso praticamente al primo attacco di marcia.
Cammina e guarda, alza la testa e valuta. Un ragazzino non potrebbe essere più curioso né avere più voglia di vivere e scoprire.
Arriviamo alla seconda rotonda e lo imploro di girare, altrimenti torniamo tardi e addio lavoro. Spero di fregarlo in falsa partenza dopo la rotazione delle anche, ma Giovanni incalza e si riprende il primo passo. Caccia di tasca uno scottex, ne strappa una linguetta, che appallottola e si infila in un orecchio: il berretto è senza copriorecchie, ma questa carta per pulirsi la bocca non è poi così male.
Camminiamo e mi viene in mente la prima volta che mi portò sul lungomare a guidare il furgoncino FIAT di mio padre, una mezza cinquecento dotata di rimorchio, color rosso vivo. Ricordo le doppiette per beccare la marcia e le rampogne perché non ne azzeccavo una. Poi mi viene in mente che, qualche mese fa, siamo andati a ritirare la sua Opel Agila e il Nonno ha voluto che la riportassi io, da Giulianova. A Roseto, ci siamo cambiati di posto e lui ha preso confidenza con la sua nuova macchina, orgoglioso come il meno ottantenne del mondo, proprio sul lungomare deserto.
Come passa il tempo. E che paura ho di sprecarlo ogni volta che non lo passo con Nonno Giovanni e non faccio niente di meglio.
Quanto tempo perdo…
Roseto degli Abruzzi, 25 gennaio 2003.